ISTRUZIONE – Un altro flop della Buona Scuola

Con il passare dei mesi si allarga la forbice tra le le norme introdotte con la Legge 107/15 e la loro adozione sul piano pratico: l’ultimo pasticcio riguarda il trattamento delle pratiche pensionistiche che, in base alla “Buona Scuola”, non vanno più trattate dagli Uffici scolastici locali ma direttamente dalle scuole. Tuttavia, queste ultime non sono ancora preparate nell’assolvere al nuovo compito amministrativo: c’è, poi, da preoccuparsi se pensiamo che l’avvio delle pratiche pensionistiche è molto vicino, con la scadenza per la presentazione delle domande per lasciare il lavoro fissata dal Miur al 20 gennaio prossimo, attraverso il Decreto Ministeriale n. 941.

La questione delle scuole impreparate a reggere l’urto della riforma è stata sollevata nelle ultime ore dalla “Gazzetta di Mantova”. Ma il problema è più vasto di quanto si possa pensare: l’impasse deriva dal ritardo “nell’applicazione della riforma degli ambiti che, come corollario, vede l’attribuzione di importanti incarichi al personale amministrativo, quale l’istruttoria delle pratiche di pensionamento degli insegnanti”. Ne deriva che la mancata formazione del personale scolastico rispetto al trattamento delle imminenti pratiche pensionistiche, non è casuale ma deriva dal ritardo nell’organizzare le reti di scuole e di ambito territoriale.

Come indicato nella Legge 107/2015 – commi 70, 71, 72e 74 – e poi ripreso dal Miur, con le indicazioni fornite ai dirigenti scolastici, le reti di scuole “sono delle forme di aggregazioni di istituzioni scolastiche attorno ad un progetto condiviso. Con l’accordo di rete di ambito e con l’accordo di rete di scopo, le scuole potranno, come previsto dalla Legge107/2015, esercitare in comune una o più attività, rientranti nei rispettivi Piani dell’Offerta Formativa, allo scopo di accrescere la reciproca competenza innovativa scolastica”.

Entrando nel dettaglio, il comma 702 della “Buona Scuola” dispone che gli Uffici Scolastici Regionali promuovano la costituzione di Reti di Ambito entro il 30 giugno 2016, con il fine di permettere la realizzazione, attraverso la forma della rete, di iniziative rivolte ad interessi territoriali e tese a trovare migliori soluzioni per aspetti organizzativi e gestionali comuni e condivisi, come la valorizzazione delle risorse professionali, la formazione e la gestione di funzioni e attività amministrative”. Anche in applicazione di quanto previsto dal D.P.R. 275/99 art.7, c.l., le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete o aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali. A tal fine, diventa quindi fondamentale l’individuazione delle scuole capo-fila: tuttavia, a quasi sei mesi dalla scadenza per la costituzione di Reti di Ambito, scopriamo che in alcune province non sono ancora state individuate e, pertanto, tale nuovo modello organizzativo resta bloccato. Si rischia, poi, di avere lo stesso risultato sul fronte dei servizi pubblici che le scuole in rete devono assolvere.

A Mantova, non è ancora stato “compiuto il primo passo, vale a dire l’individuazione delle scuole capofila (una per ambito) che coordineranno le attività comuni degli istituti (aggiornamento del personale, pensioni e probabilmente acquisti di materiale didattico e non) dello stesso ambito”. Eppure, “le scuole capofila dovrebbero occuparsi, con la collaborazione degli altri istituti in rete, della preparazione delle pratiche subentrando al provveditorato che non ha più il personale addetto”. La realtà allarmante è stata anche discussa durante l’ultima “assemblea dell’Aisam (l’associazione delle scuole mantovane) dedicata alla rete che dovrà svilupparsi con la riforma degli ambiti non ha sciolto il nodo dell’individuazione di due istituti da porre a capo dell’ambito di città e Alto Mantovano e di quello dell’Oltrepò”.

Sempre le scuole capofila sono chiamate a raccogliere “i fondi ministeriali per le attività d’ambito e sarà il personale amministrativo di quei due istituti a coordinare l’assolvimento dei compiti ereditati dal provvedimento come, appunto, la costruzione delle pratiche del pensionamento. Va anche detto che il personale amministrativo dovrà essere opportunamente formato per questo compito (servono conoscenze specifiche)”. Difficilmente, la situazione si risolverà subito dopo le festività natalizie e l’inizio del nuovo anno: “appare difficile pensare di avere personale adeguatamente formato per il 20 gennaio”. Con il risultato evidente che “rimangono molti dubbi tra i dirigenti sul come concretamente la riforma si dispiegherà”.

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “ci troviamo di fronte all’ennesima riprova di come la riforma sia stata imposta in modo improvvisato; di come non si possano realizzare la delocalizzazione delle funzioni senza un progetto di stabilizzazione di almeno ulteriori 20mila tra amministrativi, tecnici e ausiliari, da aggiungere ad una cifra analoga utile a coprire i vuoti di organico: l’autonomia, maggiorata con la "Buona Scuola", ha portato infatti nuove responsabilità così pure il ‘potenziamento’, con ulteriori compiti e incombenze. Il sindacato lo aveva detto: la riforma non può essere attuata senza l’apporto dei servizi di segreteria, il supporto, anche laboratoriale, alla didattica, per non parlare della sorveglianza, dell’apertura e della chiusura delle scuole.”

Tuttavia, il Governo Renzi ha tirato dritto e ora si pagano le conseguenze. “Anziché incrementare gli organici di personale Ata – continua il sindacalista Anief-Cisal – questo Governo è riuscito nell’impresa di aggiungere ai quasi 50mila tagli derivanti dal dimensionamento scolastico innescato con la riforma Tremonti-Gelmini, l’ulteriore cancellazione di 2.020 posti a cui abbiamo dovuto assistere la scorsa estate. Ora, si aggiunge un ulteriore paradosso: il personale in servizio non è stato formato per svolgere le nuove competenze da assolvere. E, in alcuni casi, non si è deciso neppure chi debba gestire le operazioni e quali siano i ruoli. È l’ennesima riprova che la Legge 107 va cancellata, per dare spazio ad una riforma che parta dal basso: dalle esigenze della scuola che il Governo appena caduto non ha voluto ascoltare, trincerandosi dietro le proprie convinzioni sbagliate. Quelle che – conclude Pacifico – lo hanno portato alla rovinosa caduta di giorni scorsi a seguito dell’esito del referendum costituzionale”