Non è inutile ricordare al nuovo Governo che si insedia, e alla Ministra della salute che si re-insedia, che la crisi della sanità pubblica, e la questione medica al suo interno, rappresenta una delle emergenze cui far fronte in tempi ravvicinati. Perché costituisce tanta parte della crisi sociale che gonfia la rabbia elettorale, se è vero come è vero che 11 milioni di cittadini si vedono costretti a rinunciare alle cure e che la crescita delle diseguaglianze rende metà Paese simile all’Est Europa.
Le radici territoriali del rifiuto che ha trionfato nel voto referendario sono le stesse in cui la salute non è un diritto, ma un optional ed i livelli di assistenza, i vecchi come i nuovi, sono non essenziali ma eventuali. Fare tesoro degli errori commessi vuol dire considerare il diritto alla salute non solo fondamentale, come il patriottismo costituzionale impone, ma prioritario all’interno dell’agenda politica. Inscindibile da quello dei medici a curare in autonomia e responsabilità, senza cronometri e senza abusi. Diritto alla cura e diritto a curare, cittadini e medici sono indissolubilmente legati e farebbe bene la Ministra della Salute ad ascoltare entrambi.
Oggi le condizioni di lavoro dei medici e dei dirigenti sanitari dipendenti del SSN, incompatibili con l’irrisorio incremento retributivo promesso dalla legge di bilancio, costituiscono un fattore limitante l’accesso alle cure ed incentivante la desertificazione professionale che ci attende nei prossimi anni. Urgente è stabilizzare i precari in attesa da oltre 10 anni, invisibili che prima di perdere speranza e futuro preferiscono cambiare Paese, e garantire ai giovani nuova occupazione, requisito fondamentale per stare in Europa e fare dei nuovi LEA una questione non nominalistica, mantenendo l’impegno di condurre in porto quella legge sulla sicurezza delle cure fermata all’ultimo miglio dalla frenesia referendaria e dalla crisi.
La rabbia che attraversa le urne elettorali testimonia anche la frantumazione della coesione sociale e del principio di uguaglianza dei cittadini italiani di fronte alle malattie, figli dello strisciante abbandono della sanità pubblica e della svalorizzazione del suo capitale umano.
Le categorie ospedaliere non sono affatto pacificate, come dimostra il frequente succedersi di prese di posizione, assemblee, sit in e scioperi, proclamati e realizzati. E non lo saranno fino a che la politica non si farà carico del disagio che esprime questo patrimonio professionale tradito nei valori che esprime, sbattuto in prima pagina e vilipeso nei talk show per il solo fatto che psicopatici travestiti da medici compiono orribili delitti.
Presidente del Consiglio e Ministra sono avvisati: l’ultima ruota del carro si è rotta.