Le perversioni sono delle patologie?

di ANDREA FILLORAMO

Leggo nei giornali sulla scandalosa vita del prete di San Lazzaro di Padova, uomo colto e di grande carisma, amato dai fedeli, ma indagato per violenza privata e favoreggiamento della prostituzione con ben 15 amanti, donne della sua parrocchia che si recavano da lui per avere conforto e consigli, che sarebbero state dal sacerdote plagiate e coinvolte nel suo gioco perverso. Non mi meraviglio più di tanto degli oggetti particolarmente “spinti”, dallo stesso catalogati e sacralizzati con nomi di Papi, al limite del sadomaso, rintracciate dalla polizia in canonica né della sua predilezione per il sesso di gruppo. Uomini del genere e non solo preti ne ho conosciuti diversi, vittime di perversioni sessuali costituite da fantasie, impulsi sessuali o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti, che comportano la sofferenza o l’umiliazione di se stessi o coinvolgere persone non consenzienti.
Ci chiediamo: “Le perversioni sono delle patologie”?
Le perversioni assumono carattere di patologia quando i comportamenti, i desideri sessuali o le fantasie diventano pervasive nella vita del soggetto, provocando un disagio significativo sul piano sociale.
Certamente non si esaurisce in così poche righe l’analisi di un modo di essere di quel prete padovano, aggiungendolo alla schiera di tanti pervertiti.
Se parliamo delle perversioni di quel prete dobbiamo necessariamente esaminare con molta attenzione le cause, le motivazioni, le circostanze che possono colpire qualunque prete.
Accenno soltanto a quella che ritengo la causa prima delle perversioni, chiamiamole pure “clericali”.
Essa è data dalla castità assoluta in pensieri, parole ed opere, che chiunque non totalmente digiuno di psicologia, di biologia e di sessuologia, ritiene un obbligo inumano, tollerabile magari per un certo periodo di tempo e in assenza di circostanze, ritenute o predicate come “tentazioni”.
Chi conosce il mondo dei preti sa che quando la vocazione è sincera, all’inizio del ministero, come del resto all’inizio di qualunque impresa, il neo ordinato si sente così forte da poter arrivare ad una gioiosa accettazione della rinuncia al sesso, accettando anche le motivazioni ascetiche dell’astinenza sessuale che oggi molti, anche uomini di chiesa, ritengono ipocrite.
Dopo, però, con il passare del tempo, l’istinto sessuale, nella gran parte dei casi, conserva una sua relativa autonomia dalla coscienza e riesce anche a travolgerla. È questa la più grande tragedia che si consuma nell’intimo, nel profondo del prete che, talvolta lo costringe ad abbandonare il ministero al quale si sente ancora vocato.
Nel corso degli anni, così, subentrano la sofferenza, la tentazione, il tormento. I più fragili, o quelli che non possono compensare con posizioni di potere nella quotidianità ordinaria della gestione della parrocchia, non riescono più a reprimere o a sublimare.
Così la proibizione lentamente infligge una ferita che induce il più delle volte ad una sessualità deviata.
Altri si lasciano tentare dal soggetto più debole, più a portata di mano, con cui possono mettere in atto una sorta di automanipolazione, con la quale si autoassolvono per la loro perversione, che non riescono a riconoscere neppure con se stessi, o si costruiscono un’esistenza dominata dal rimorso.
Così si diffondono le perversioni che sono insite nell’obbligo. A mio parere, è grande la responsabilità della Chiesa che avvelena con la sua sessuofobia e con il suo grande tabù millenario, dal quale scaturisce l’obbligo. Finché persisterà l’obbligo, esisterà il presupposto per cui il prete si autocondanna a quell’ergastolo dei sentimenti affettivi e della sessualità che è prima causa del fenomeno di massa della devianza sessuale. Solo un cambiamento di rotta della Chiesa, potrebbe riportare la perversione e la devianza nei limiti fisiologici, specchio della società in cui viviamo. Tale cambiamento deve passare attraverso tre momenti:
– accettazione all’esercizio della sessualità come diritto inalienabile anche del prete;
– educazione e formazione sentimentale e sessuale, come necessità anche del prete;
– riforma che consente al prete di sposarsi.
Ma ancora, come dice Papa Francesco, forse non sono maturi i tempi. La “rivoluzione” di Papa Francesco è ancora all’inizio. Sarà continuata con il prossimo Papa? Non lo so.