Dal Salmo 40
Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.
Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.
di Ettore Sentimentale
Il brano (vv. 1.4.7-10) che la liturgia ci propone come risposta alla prima lettura (Is 49, 3.5-6) della II Dom. del tempo ordinario coincide pressappoco con la prima parte del salmo in questione, frutto di ringraziamento del fedele nei confronti del Signore per essere stato oggetto della grazia divina, intensamente implorata ed esaudita proprio mentre si trovava nella “fossa della morte” (v. 3, omesso dal ritaglio liturgico).
Da qui affiora spontaneo sulle labbra del salmista “un canto nuovo al nostro Dio”, forse anche come riconoscenza per la fine dell’esilio. Nel ringraziare il Signore per lo scampato pericolo, l’autore – contrariamente a quanto avviene in coloro che pensano di dover “pagare dazio” attraverso sacrifici o ogni genere di voto e privazione – va ben oltre. Ha capito che a Dio non bisogna offrire delle cose (delle quali non sa cosa farsene, cfr. Is58), quanto la propria vita: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà”.
Mi sembra di particolare intensità la metafora con la quale il salmista descrive l’intervento di Dio nei suoi confronti: “gli orecchi mi hai aperto” (lett. “scavato”).
Tale gesto ha una duplice valenza, molto intrigante al fine della comprensione del pensiero dell’autore sacro. Il primo significato si rifà all’usanza con la quale il padrone forava le orecchie dello schiavo per indicare l’appartenenza esclusiva di quest’ultimo: era come una sorta di sigillo con il quale marchiava le sue cose; ma c’è pure il riferimento a Is 50, 4-5 (terzo canto del servo di Jhwh) ove il profeta afferma che Dio gli ha aperto l’orecchio per fargli cogliere in profondità il suo messaggio.
Tuttavia, la comprensione più profonda e genuina di questo passaggio la troviamo in Eb 10,4-10, con la quale l’autore applica questi versetti a Cristo, Parola del Padre (Eb 1,1ss), che per compiere la volontà divina non offrì i sacrifici prescritti in olocausto, ma donò se stesso.
È scontata la conclusione: le provocazioni di questo salmo ci spronano a testimoniare con la parola (“vedi non tengo chiuse le labbra”) e con la vita (“ho annunciato la giustizia nella grande assemblea”) la volontà di Dio.
Diceva Francesco di Assisi: “In tua voluntade è nostra pace”. Era un’eco prolungata, chiara, determinata e graffiante di quanto aveva detto Gesù: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”» (Mt 7,21).