l’Intervento indignato dei Pm e Giudici onorari alle Inaugurazioni dell’Anno Giudiziario

Signor Presidente,
Eccellenze della Corte,
Signor Procuratore Generale,
Autorità,
Signore e Signori,

quest’anno nel nostro intervento, uguale in tutte le Corti d’appello, vorremo sottolineare come i problemi “degli altri” possano divenire, inaspettatamente, “i nostri” problemi; e come il grado di democrazia di un ordinamento possa affievolirsi, senza che si abbia una immediata percezione di tale deterioramento.
Una nota poesia tedesca descrive icasticamente questo pericolo; ce ne sia consentita, Presidente, la breve citazione: “Quando presero i comunisti, io non dissi nulla perché non ero comunista. Quando rinchiusero i socialdemocratici io non dissi nulla, perché non ero socialdemocratico. Quando presero i sindacalisti, io non dissi nulla, perché non ero sindacalista. Poi presero gli ebrei, e io non dissi nulla, perché non ero ebreo. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa”.
Vivere in democrazia ci impone di rifiutare l’idea che i pubblici poteri possano negare ad alcune categorie di cittadini, di lavoratori o di magistrati, l’effettiva applicazione di diritti che l’ordinamento costituzionale impone di riconoscere senza eccezioni.
Ed è una grave anomalia, non una semplice eccezione, che ai magistrati onorari italiani non si applichino ancora tutele adeguate in caso di malattia, infortunio, gravidanza o collocamento a riposo.
Nel 2016, la legge n. 57 ha delegato il Governo a rafforzare la funzione di supporto dei magistrati onorari nei confronti di quelli di ruolo, introducendo al contempo alcune iniziali tutele: una retribuzione fissa e non più solo variabile, la possibilità di mobilità territoriale, un regime disciplinare più simile a quello introdotto per i magistrati di ruolo.
Lo scorso novembre, poi, il Consiglio d’Europa ha stabilito che l’Italia deve assicurare ai magistrati onorari una remunerazione ragionevole in caso di malattia, di maternità o paternità e il pagamento di una pensione correlata al livello di remunerazione, stabilendo anche la natura discriminatoria dell’attuale inquadramento della magistratura onoraria.
Inaspettatamente, pochi giorni fa, il Ministro della Giustizia, che ancora non ha assunto alcuna iniziativa per adeguare il diritto italiano a tale pronuncia e ai criteri prefissati nella legge delega, si è compiaciuto avanti al Parlamento di avere rigettato le istanze formali, con cui i magistrati onorari chiedevano la riqualificazione del rapporto di lavoro e il superamento dell’attuale inquadramento precario e a tempo determinato, in linea con l’Accordo quadro europeo sul lavoro e con la citata pronuncia del Consiglio d’Europa.
La linea ministeriale, ostile alla categoria, è stata d’altronde illustrata pubblicamente presso la Scuola Superiore della Magistratura da uno dei magistrati che coadiuvano il Ministro, il quale ha candidamente dichiarato che lo svolgimento di funzioni giudiziarie onorarie deve diventare una mera esperienza formativa e che, pertanto, il Governo non ha intenzione di esercitare, se non in parte, la delega legislativa dello scorso anno.
Si manterrebbero così i magistrati onorari in una condizione di precarietà, anche economica, disincentivando o addirittura vietando il loro pieno ed efficiente utilizzo e generando una riduzione di produttività complessiva non compensabile neppure con l’eventuale ampliamento della loro consistenza numerica.
È surreale che le politiche del nostro Paese siano dominate dalla preoccupazione che i magistrati onorari possano rivendicare di essere lavoratori; restando peraltro oscuro in quale altro modo dovrebbero essere qualificati, tanto più che l’erario sottopone i loro gettoni di presenza ai medesimi prelievi previsti per gli altri compensi lavorativi.
Ridotti a comparse occasionali della ribalta giudiziaria, i magistrati onorari dovrebbero governare, secondo il Ministero, la libertà personale e i diritti patrimoniali dei cittadini, al solo fine di fare un’esperienza formativa sulla pelle di questi ultimi.
Insomma nelle stanze di Via Arenula, in paradossale contrasto coi principi ispiratori della legge delega redatta proprio in quegli uffici, ci si preoccupa di sostenere una riforma nella quale, giudici e pubblici ministeri onorari, non possano più affiancare stabilmente e continuativamente i magistrati di ruolo e fornire loro una collaborazione quotidiana e qualificata “per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”.
Questo progetto è quindi completamente disfunzionale al buon governo di un Paese e disconosce il ruolo svolto dalla magistratura, autorevolmente sottolineato giovedì scorso dal Primo Presidente della Corte di Cassazione.
Ed è in riguardo a coloro ai quali, da sempre, è rivolta la nostra azione di supporto, che chiediamo al CSM, all’Associazione nazionale magistrati e ai Capi degli uffici giudiziari italiani di stigmatizzare il nuovo approccio del Governo, “smarcandosi” da una suggestiva tesi politica, cui lo stesso Ministro Orlando ha talvolta alluso: che la precarizzazione dei magistrati onorari piaccia alla magistratura di ruolo.
Auspicare che, ai magistrati onorari, dopo ventidue anni di proroghe , siano negati la continuità lavorativa, una retribuzione dignitosa o il sostegno previdenziale e assicurativo in caso di cure oncologiche, infortuni, malattie professionali, gravidanze o allattamento, significherebbe, infatti, disconoscere completamente i principi costituzionali di solidarietà sociale, di eguaglianza e di indipendenza dell’intera magistratura, creando un precedente per futuri abusi e comprimendo intollerabilmente sia l’autonomia dell’intero ordine giudiziario, sia il diritto dei cittadini a una Giustizia imparziale ed efficace.

Rimondo Orrù
Presidente Vicario Feder.M.O.T.