Il caso del padovano don Andrea Contin

Andrea Filloramo, il caso del padovano don Andrea Contin da giorni riempie lo schermo e quasi tutti i giornali, creando scandalo. Cosa ne pensi?

Il caso segue la marea di preti che buttano fango su se stessi e sulla Chiesa, anche quando essa provvede, così come può, ma solo dopo a cercare di riparare i danni, fino ad arrivare alla sospensione a divinis dei preti colpevoli, o addirittura alla loro riduzione allo stato laicale. Non mi meraviglio, quindi, più di tanto.

Da più parti, si invoca, come rimedio alla concupiscenza clericale che non si arresta e che raggiunge l’acme in quel prete padovano, che la Chiesa finalmente abroghi il celibato ecclesiastico.

Ritengo che il celibato, in sé, non sia la causa della sessualità sfrenata, estrema che vediamo in don Adrea Contin, tant’è che in lui possiamo parlare di una “sessualità ammalata”, mentre in altri di sessualità sana.

Quale, allora, a tuo parere, sono le cause della sessualità ammalata che possiamo riscontrare non solo in don Andrea Contin?

Sarebbe molto superficiale dire che le cause risiedano nelle debolezze umane di don Andrea. Le cause possono essere tante. Una in modo particolare, che è la totale e permanente astinenza sessuale, alla quale i preti sono obbligati, che è resa necessaria per l’osservanza del celibato ed è, quindi, ad essa collegata,

Vuoi chiarire questo concetto?

L’astinenza forzata, imposta ai preti, a cominciare dalla loro adolescenza, periodo di grande turbolenza se svolto in seminario, ma anche in altri periodi,può causare in tanti frustrazioni, fobie, sensi di inadeguatezza, carenza di abilità sociali, aggressività. Con l’andare del tempo tutto si residua nella loro personalità che si divide fra il sacro e il profano, anzi il “molto profano”, fra il “faida te”, che diventa con il tempo non confessabile normalità e la funzione sociale che svolgono, che diviene la maschera con la quale si coprono. Basta poco, infine, per rompere le “barriere” e darsi ad una vita chiamiamola magari impropria.

Ma se l’astinenza è una libera scelta, è inspiegabile quanto da te detto.

Solo chi lo fa per libera sceltae ciò è raro e presuppone una vita totalmente ascetica, lontano dalle tentazioni del mondo, è una persona capace di gestire le proprie emozioni, capace di evitare determinati pensieri o l’esposizione a situazioni che potrebbero essere sessualmente eccitanti.Gli altri? Solo loro sanno quali sono le battaglie che ogni giorno, dovunque si trovano, devono combattere fra quello chepensano che sia “il bene” e quello che ritengono il “male”.

Ma i preti già dal seminario ricevono una formazione tale che facilita l’accettazione dell’obbligo della castità.

Ma dove c’è l’obbligo non può esserci una libera scelta ma l’infrazione, il nascondersi, la vergogna, la menzogna per non farsi sanzionare e se si è in seminario, l’essere “buttato fuori” e subire la gogna.

Allora, a che serve la formazione data nei seminari?

Ovviamente mi riferisco ai seminari di una volta, dove si sono formati molti preti adesso in attività ministeriale. Non conosco bene i seminari di oggi, dove, però, ritengo che molto è cambiato ma non la formazione data ai candidati al sacerdozio. Se è così, comprendo quel che sostiene don Mazzi quando dice: “bisogna abolire i seminari”. La formazione impartita nei seminari, uccide molto spessol’umanità dei preti, uccidei sentimenti, privando i futuri preti di ogni rapporto affettivoe lasciando lo spazio solo agli impulsi irrazionali, proprio quelli che si sono realizzati in don Contin.

Mi sembra interessante questa considerazione.

Cerco di essere più chiaro. Risulta che spesso i preti, per la formazione avuta, sono degli anestetizzati emotivi,incapaci di esprimere le proprie emozioni, soprattutto gli stati affettivi, di verbalizzare il proprio vissuto emotivo, di percepire, riconoscere, esternare l’emotività.Tale stato non favorisce l’empatia, che è necessaria per ogni tipo di rapporto umano e impedisce la costituzione di rapporti di intimità, qualora essi decidano di averli.

Come spieghi che don Contin, pur con la vita che conduceva riusciva ad essere un buon prete, amato da tutti?

Se ciò accade, il risultato è una vita che si smarrisce in superficie e obbliga a indossare una maschera sociale,ma non di scongiurare il rischio del proprio crollo.Si tratta indubbiamente, dell’adattamento al principio di prestazione, che, secondo Marcuse è ciò che "si deve fare" a causa del proprio ruolo nella società,che, come tale, esclude di per sé, però, la vita emotiva. Questo è il motivo per cui i preti sono tendenzialmente sempre in perdita secca del desiderio. Per loro avvertire la spinta del desiderio è un esporsi fatalmente al rischio dello smarrimento.

Cosa prevedi per il futuro?

Non l’abolizione del celibato, al quale la Chiesa è molto legata. Ci saranno senz’altro i preti celibi anche se pochi, che lentamente saranno sostituiti dai “viri probati”, cioè da persone sposate, con famiglia e figli, al pari dei diaconi permanenti che svolgono il ministero in ogni diocesi. E’ questa un’operazione possibile, che potrebbe essere anticipata dal reintegro di quelli che sono oggi i preti sposati, qualora lo chiedessero.

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