A 17 anni dall’inizio dei fatti si è chiuso in Cassazione a Roma un processo per abusi sessuali, a Torino, su una ragazzina che dopo lo scoppio del caso si era tolta la vita. I giudici hanno respinto l’ultimo ricorso dell’imputato, confermando la condanna. L’udienza davanti alla Corte è stata fissata in tempo utile per evitare la caduta in prescrizione delle accuse. E’ di fronte a fatti del genere che si deve confrontare la società civile, quella che ieri in parte è scesa per strada per rivendicare i diritti di uguaglianza delle donne. Manifestazioni che se hanno un senso importante lì dove esistono leggi discriminanti per le donne, diventano -a parte gli aspetti di solidarieta’ e lotta per le donne di quei Paesi- molto discutibili rispetto al nostro sistema politico, economico e giudiziario: sembrano più che altro un alibi per giustificare ciò che avviene gli altri 364 giorni dell’anno. Infatti in Paesi come il nostro la non uguaglianza dei sessi nella società non è dovuta a leggi, ma a cultura, abitudini e prassi consolidate. Ed è in quest’ultima categoria che inseriamo la sentenza di oggi della Cassazione. Possiamo parlare di giustizia in virtù del “meglio tardi che mai”, giustizia per tutti gli attori di questa vicenda? No, siano al ridicolo che diventa tragico. E se lo proiettiamo sulla festa delle donne celebrata l’8 marzo, non possiamo non rilevare che il grosso problema del nostro sistema (giustizia nella fattispecie) non è la discriminazione normativa, ma il malfunzionamento in sè che, a fronte dei soggetti più deboli per cultura (le donne), crea più facilmente le sue vittime. Diciassette anni!! Cosa è rimasto della dignità di chi ha pianto per quella vittima? E cosa resta della nostra dignità civica? E della dignità di giustizia contro una delle peggiori manifestazioni di violenta supremazia maschile sulla donna? Quasi nulla. Noi siamo quelli -per l’Italia e i Paesi simili al nostro- della festa della donna per 365 giorni all’anno, cioè per una non-festa, ma un impegno quotidiano e nell’humus del tutto quotidiano. E per questo non possiamo non rilevare che avremo fatto qualcosa di concreto, tangibile e futuribile solo quando sentenze come quella di oggi non ci saranno piu’ dopo 17 anni. Parole al vento?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc