SIGNOR SINDACO, I CONTI NON TORNANO

Le inchieste non possono essere commentate se prima non si conoscono gli eventuali rilievi, che si valuteranno una volta resi noti. Tuttavia non si può tacere davanti all’arroganza e alla presunzione mostrata, peraltro goffamente, da Accorinti nel commento alla notizia sull’apertura di un fascicolo della Procura della Repubblica di Messina sui bilanci 2014-2016.
Non l’avremmo mai fatta l’esegesi del comunicato di Accorinti se non avessimo scorto nelle parole del Sindaco tutto il peso di una serie di errori che, forse inconsciamente, prendono oggi la forma di un’ammissione. Ultimamente infatti il baricentro delle argomentazioni a difesa dello strumento finanziario che ha sigillato l’alleanza a responsabilità limitata tra il lupo e l’agnello, quellidiora e quellidiprima per intenderci, si è spostato dalla strenua difesa della legalità, ad un rispetto delle regole con una deroga, ovvero, purché non si faccia macelleria sociale. Brandita solo adesso, da uno stupefacente Accorinti che riscopre l’appartenenza ideologica a fronte di un processo di sterilizzazione delle questioni economico-finanziarie avviato sin dal suo insediamento, dopo quattro anni di distinguo tra noi e loro, tra gli stupratori e i salvatori della città, l’arma delle esigenze sociali ha più il sapore della giustificazione, alla ricerca del becero consenso, se si fosse trattato di uno qualunque dei predecessori del Sindaco Accorinti, ma che, ovviamente, nel suo caso è esclusivamente per il bene comune.
L’azione di Accorinti e dei suoi sarebbe stata orientata sempre alla “trasparenza”, affermazione che collide con quell’escamotage, dell’allora assessore al Bilancio Signorino, che consistette nel far bocciare al Consiglio comunale (con tanto di lettera esortativa ai consiglieri) la rimodulazione del Piano di Riequilibro targato Croce, bocciatura che permise di agganciare il comma 573 che concedeva ulteriori 90 giorni per presentare un nuovo Piano. Ma in ogni caso Accorinti non avrebbe potuto utilizzare lo strumento finanziario del riequilibrio perché inviò la relazione di inizio mandato ben 158 giorni dopo l’insediamento e non 90 giorni come prevedeva la norma, indicativo è che dopo la presentazione della relazione scattavano i 60 giorni perché la nuova amministrazione potesse di rimodulare il Piano di Riequilibrio, facoltà concessa da un emendamento al “Decreto del fare” presentato dal Senatore forzista Bruno Mancuso e sostenuto da tutta la deputazione messinese. Maggiore tempo auto-assegnato per organizzare un Piano di Riequilibrio fortemente voluto e strappato al tempo, andando oltre i confini della legittimità, una “fatica” ingiustificata se si pensa proprio a quell’estraneità che Accorinti rivendica rispetto alla formazione della massa debitoria che ha ereditato e oggetto delle sue invettive contro i responsabili di questo disastro.
Ma è scorrendo il comunicato che arriva l’ammissione, quando afferma che “sarebbe stato più semplice dichiarare il dissesto” in quanto ammette di aver operato una scelta piuttosto che adempiere ai doveri prescritti dal testo unico degli enti locali (Tuell) e cioè che "sono da considerarsi in condizioni strutturalmente deficitari gli enti locali che presentano gravi ed incontrovertibili condizioni di squilibrio", dice il Testo unico degli Enti locali. Se il deficit è in qualche modo recuperabile con un piano di sacrifici che la Corte dei conti approva si può accedere alla "procedura di riequilibrio finanziario pluriennale", il pre-dissesto. Ma se "l’ente non può garantire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili" o se i creditori vantano crediti cui non si può far fronte con mutui o entrate proprie, allora scatta il dissesto, come il Tuell indica all’articolo 244. Come se si trattasse di una scelta opzionabile per indirizzo politico, quando invece il dissesto c’è o non c’è, non si sceglie “di percorrere la strada più impervia del Piano di Riequilibrio” o di intraprendere la “scorciatoia” di cui parla. Perché se così fosse, bisognerebbe chiedere al “fine giurista Accorinti” se il dissesto come scorciatoia, da evitare “per salvare persone e imprese”, vale solo per lui o anche per tutti gli altri ex sindaci? Ed ancora, a quali imprese si riferisce, quelle che, saldato il debito, avrebbero contribuito al concreto rilancio economico della città con un incremento della capacità di spesa fino al 2,5% del Pil cittadino? Oppure è vero che quelle migliaia di creditori, piccoli artigiani, piccole aziende e famiglie con redditi “normali”, a cui fanno riferimento, sono solo una piccola percentuale dell’intera massa debitoria perché gran parte del credito lo detengono grossi gruppi finanziari per debiti contratti intorno ai grandi appalti, per lo più non di Messina e quindi senza vantaggi per l’economia locale, le società partecipate del Comune, esempio di carrozzoni clientelari a guida politica, e i “soliti” grossi studi legali?
Non credo che avremo una risposta, ma d’altronde questa è la retorica di Renato, innalzarsi alla categoria dell’eroe in quanto onesto, laddove l’onestà si impone come un obbligo e la disonestà è una scelta. E quando dice, come in una recente intervista, che la dichiarazione di dissesto l’avrebbe potuta fare in un secondo, una firma e via, omette sempre di spiegare alla città quando e dove prese la decisione di scegliere la strada del Piano di Riequilibrio e chi gli ha consegnato il mandato di opzionare per l’uno o per l’altro.
La storia della contabilità allegra di Messina sembra ispirata al motto “fatta la legge trovato l’inganno”, in un contesto di assenza di controlli, di complicità istituzionali e di indifferenza generale. In un clima del genere, non potrà fare molto il neo Assessore al Bilancio, il reggino Vincenzo Cuzzola. Eh già…! Reggio Calabria, una città con uno strano paradosso raccontato dal sociologo Vittorio Mete, secondo il quale, il governo ha optato per la più “facile” soluzione dello scioglimento per infiltrazioni mafiose che, essendo un provvedimento di natura preventiva, ha riguardato solo l’amministrazione in carica e potrebbe aver salvato, temporaneamente, la carriera a più di un politico.

Nina Lo Presti – Luigi Sturniolo