Altro che rilancio dell’istruzione pubblica: la scuola italiana continua ad andare a due velocità. Lo si evince dal “Portale unico dei dati della scuola, per una scuola aperta e trasparente”, pubblicato in queste ore dal Ministero dell’Istruzione: tra le indicazioni che giungono, risultano di particolare interesse le percentuali sulla fruizione del tempo pieno nella scuola primaria. Il dato nazionale è che a livello nazionale sono 948.565 studenti che usufruiscono in Italia di questo diritto: solo che ben il 38% sono iscritti nelle scuole del Nord Ovest, il 25,8% al Centro e nel Nord Est sono il 20,3%. Mentre risulta appena l’11,7% degli alunni iscritti nelle scuole primarie di Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Calabria. La maglia nera spetta, ancora una volta, a Sicilia e Sardegna, dove a frequentare la scuola a tempo pieno è appena il 4,2% degli alunni tra 6 ed 11 anni.
“La Legge 820 sulla possibilità di restare a scuola anche il pomeriggio – commenta Orizzonte Scuola – è nata nel 1971 per soddisfare bisogni sociali e aiutare l’innovazione, ma non ha ancora trovato la sua piena realizzazione al Sud d’Italia. Al contrario la percentuale record si tocca al Nord Ovest, con il 38% di studenti che usufruiscono di questo diritto”. La discrepanza, insomma, è notevole. Con le nuove generazioni del Meridione ancora una volta penalizzate, visto che addirittura il 96% degli alunni delle ex scuole elementari vive solo mezza giornata in aula ed all’ora di pranzo è già a casa.
La mancanza di opportunità formative estese per l’intero arco della giornata non è nuovo al Sud. Ma la Buona Scuola doveva servire anche a, almeno, ridurre questo gap. Il comma 7 della Legge 107/2015 parla infatti di “apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e di studenti per classe o per articolazioni di gruppi di classi, anche con potenziamento del tempo scolastico o rimodulazione del monte orario”. Oltre che di “alfabetizzazione e perfezionamento dell’italiano come lingua seconda attraverso corsi e laboratori per studenti di cittadinanza o di lingua non italiana, da organizzare anche in collaborazione con gli enti locali e il terzo settore, con l’apporto delle comunità di origine, delle famiglie e dei mediatori culturali”.
Tutto questo, invece, non è avvenuto. La stessa delega sul diritto allo studio, su cui la prossima settimana, assieme ad altri sette decreti legislativi della L.107/2015, le commissioni parlamentari dovranno esprimersi, non sembra occuparsi di questo aspetto. L’Anief, invece, lo aveva detto, nel corso delle audizioni tenute a Palazzo Madama e a Montecitorio: il tempo pieno è uno dei passaggi imprescindibili di un Paese che punta a un’istruzione di qualità.
“Per farlo – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – è però fondamentale l’apporto degli enti locali, di Comuni e Regioni, a cui invece le ultime leggi di stabilità hanno sempre più tagliato i finanziamenti. Il tempo pieno è infatti legato a doppio filo a determinati servizi, come la mensa scolastica, il trasporto e la presenza di personale a supporto. Senza un progetto assistenziale di sostegno, i servizi diventano a pagamento. E, chiaramente, le famiglie si tirano indietro. E il tempo piano salta. Così, a rimetterci sono gli alunni che fanno sempre meno ore a scuola, peraltro ridotte a seguito della riforma Tremonti-Gelmini”.
“Noi, come Anief, lo diciamo da tempo: servono interventi straordinari per potenziare gli organici e i servizi locali di tutte quelle zone deprivate culturalmente, ad alti flussi migratori, sfavorite a livello territoriali, prive di agenti sociali adeguati. Non si può prevedere lo stesso finanziamento per una regione florida del Nord e per una del Sud, dove manca tutto. Altrimenti – conclude il sindacalista – la forbice continuerà ad allargarsi sempre più. Con i giovani del Meridione e le Isole ancora più abbandonati al loro destino. Anche per loro, l’Anief venerdì prossimo ha deciso di scioperare e tornare in piazza a Roma, davanti al Ministero dell’Istruzione”.