L’Italia è sesta al mondo per “disponibilità di acqua” secondo il Food Sustainability Index (FSI),eppure continuiamo a consumarneuna quantità molto ingente. Il FSImostra, infatti, performance piuttosto scarse per quanto riguarda l’“utilizzo destinato per le produzioni agroalimentari” (51.08 su 100 il punteggio attribuitodall’Index)e in termini di “acqua usata dall’agricoltura sul totale delle risorse idriche rinnovabili” (59.78 su 100).A livello mondiale ci sono 1,4 miliardi di chilometri cubi di acqua, ma solo lo 0,001% del totale è effettivamente disponibile per l’utilizzo dell’uomo e questo dato aiuta a comprendere quanto sia importante utilizzare in maniera corretta questa risorsa. Tra agricoltura, industrie e famiglie,è il settore agricolo a consumare più acqua .In media il 70% del prelievo totale di acqua dolce è destinato all’irrigazione,mentrel’industria ne consuma il 22%e il restante 8% è dedicato all’uso domestico. Il peso dell’agricolturaè ancora più alto nei paesi a medio e basso reddito, dove il consumo raggiunge anche il 95% del totale, mentre in quelli industrializzatipredomina il consumo nel settore industriale (59%).È questa la fotografia scattata dalla Fondazione Barilla for Food & Nutrition in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, in programma il prossimo 22 marzo. E proprio per mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica, sull’impatto che le nostre scelte alimentari e la produzione di cibo hanno sull’ambiente, che la Fondazione BCFN ha ideato – insieme alla Fondazione Thomson Reuters – ilFood Sustainability Media Award ( www.goodfoodmediaaward.org ): un premio destinato a giornalisti, blogger, freelance e singoli individui che vogliono presentare (entro il 31 maggio) i propri lavori, sia inediti che già pubblicati, per far luce sui paradossi del sistema alimentare e proporre soluzioni concrete per combatterli.
Un indicatore che ci aiuta a capire il nostro consumo di acqua è “l’impronta idrica”,che misural’ammontare di acqua che è stata utilizzata in tutte le fasi di produzione di un bene, distinguendo il contributo dell’agricoltura irrigua (quella che prevede l’irrigazione dei campi) e non irrigua, ovvero che utilizza l’acqua piovana (a cui è generalmente associato un minore impatto). I beni che richiedono più acqua per la loro produzione sono proprio quelli agricoli.Ma quando si parla di acqua destinata alla produzioneè necessario ricordare anche l’acqua “virtuale” o invisibile,ovvero quella non contenuta direttamente nel prodotto. L’impronta idrica globale ammonta oggi a 7.452 miliardi di metri cubi di acqua dolce l’anno, pari a1.243 metri cubi pro-capite, ossiapiù del doppio della portata annuale del fiume Mississipi.Analizzando a fondo i dati scopriamo che in Italial’impronta idrica agricola, relativa cioè al cibo che mangiamo, contribuisce per l’89% alla nostra impronta idrica totale ,posizionandoci all’ultimo posto in Europaper impronta idrica pro-capite, con un valoredi 2.232 metri cubi di acqua dolce l’anno consumata da ciascuno.Nel nostro Paese, inoltre, gran parte delle risorse idriche è destinata all’agricoltura irrigua,che mostra però una produttività più bassa e contribuisce all’inquinamento (ad esempio con l’uso di fertilizzanti)di mari, fiumi, laghi e falde acquifere.
Inoltre, all’incirca nel 27% del totale l’acqua in Italia si perde tra il prelievo e l’effettiva erogazione senza particolari distinzioni lungo tutto lo Stivale (passando dal 23% del Nord al 30% del Sud e delle Isole) e pone, purtroppo, anche stavolta, l’Italia nelle posizioni di vertice nella classifica degli spreconi tra i Paesi europei. La maggior parte dell’impronta idrica degli italiani proviene però da altri paesi,attraverso l’importazione di prodotti alimentari molto esigenti dal punto di vista idrico (ad esempio, prodotti di origine animale).Anche ilFood Sustainability Indexpone l’Italia per “impronta idrica” all’11° posto dell’Indice. La maglia nera dell’impronta idrica se la dividono 5 Paesi molto grandi e popolosi: Indonesia, Brasile, Usa, Cina e India, a riprova della necessità di dare priorità a questo tema
“Abbiamo la fortuna di vivere in un Paese dove si registrauna disponibilità di acqua tra le maggiori al mondo anche se tale disponibilità non è omogenea nel territorio nazionale, con ampie disponibilità al Nord e percentuali più ridotte nel resto del territorio.Con un’impronta idrica tra le più elevate in Europa (oltre il 25% in più della media UE) e nel mondo (oltre il 66% in più della media mondiale) , è fondamentale sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche media e altri stakeholder sull’importanza delle nostre scelte individuali perché queste sì, possono fare la differenza per il benessere del pianeta. Adottare la Dieta Mediterranea, privilegiare prodotti di stagione e seguire una dieta variegata e bilanciata, è il primo passo che ognuno di noi può compiere nella vita quotidiana per un più sostenibile consumo di risorse idriche. Non solo in Italia ma nel mondo, perché ogni volta che il cibo viene importato, si importa anche l’acqua contenuta in esso” ha dichiarato Marta Antonelli,Research Programme Managerdella Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition.
Quotidianamente, in media un individuo beve 2 litri d’acqua al giorno, ma senza accorgercene, a nostra insaputa, utilizziamo fino a 5mila litri di acqua “virtuale” al giorno solo per alimentarci.E se, da un lato, mettiamo sempre più attenzione alle azioni di routine, come chiudere il rubinetto dell’acqua mentre ci laviamo i denti, dall’altro non siamo ancora del tutto consapevoli di quanta acqua “invisibile” si nasconde in quello che mangiamo. Se adottassimo una dieta vegetariana, il consumo di acqua virtuale varierebbe dai 1.500/2.600 litri rispetto ai 4.000/5.400 di una dieta ricca di carne. Tradotto in pratica significa che mangiando, ad esempio, una porzione di crema di ceci insieme con un piatto di fagiolini e patate cotte al vapore con scaglie di grana e un frutto, si mangiano – senza accorgersene – anche 1446 litri di acqua; invece, sostituendo lo stesso pasto con un filetto di manzo, una porzione di insalata mista condita con olio, una fetta di pane e un frutto i litri di acqua salgono a 3244. Il totale di acqua nascosta nel piatto si abbassa drasticamente se, invece, si adotta un menù vegano: una porzione di crema di verdure e risoni, una porzione hummus di ceci e una fetta di pane contiene “solo” 940 litri di acqua .
FOOD SUSTAINABILITY MEDIA AWARD, UN PREMIO PER CHI RACCONTA I TRE PARADOSSI DEL CIBO
Per stimolare il dibattito sulla questione della sostenibilità alimentare, coinvolgendo un’audience ampia e internazionale, la Fondazione BCFN ha lanciato il Food Sustainability Media Award (www.goodfoodmediaaward.org), un premio destinato a giornalisti, blogger, freelance e singoli individui che vogliono presentare i propri lavori, sia inediti che già pubblicati, legati alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità, all’agricoltura e alla nutrizione. Saranno accettati, fino al 31 di maggio articoli, video e foto che puntano a far luce sui paradossi del sistema alimentare, denunciando e proponendo soluzioni per combattere la coesistenza di fame e obesità, lo spreco alimentare e lo sfruttamento della Terra.
Il premio si propone di focalizzare l’attenzione e di far luce su tre paradossi che interessano il sistema alimentare mondiale:
• Fame vs obesità – perché per ogni persona malnutrita nel mondo ce ne sono due che sono obese o sovrappeso
• Cibo vs Carburante – perché un terzo del raccolto di cereali viene utilizzato per dare da mangiare agli animali o per produrre i biocarburanti, nonostante il problema della fame e della malnutrizione
• Spreco vs Fame – perché ogni giorno vengono sprecati 1.3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile, quattro volte la quantità necessaria a sfamare 795 milioni di persone malnutrite in tutto il mondo