Arriva a compimento il decreto legislativo sulle nuove modalità di reclutamento del personale docente nella scuola secondaria di primo e secondo grado: ieri, il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via definitiva, il nuovo sistema selettivo che cambia radicalmente l’attuale modello concorsuale. I concorsi – scrive il Miur – avranno cadenza biennale, il primo sarà nel 2018. Il nuovo concorso prevede due scritti (tre per il sostegno) e un orale. Chi lo passa entra in un percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio (FIT), con una retribuzione crescente che parte fin dal periodo della formazione e che all’ultimo dei tre anni formativi prevede anche lo svolgimento di supplenze. Le docenti e i docenti vengono valutati per tutta la durata del percorso formativo. Terminato il triennio, se la valutazione sarà considerata positiva, i candidati verranno finalmente immessi in ruolo.
In attesa di prendere visione del testo, che potrebbe avere subìto delle modifiche in sede governativa, Anief non può non soffermarsi e commentare uno dei punti fermi del nuovo concorso pubblico che dovrebbe essere bandito, almeno nelle intenzioni, già nel corso del prossimo anno: quello relativo al dato che tutte le laureate e tutti i laureati potranno partecipare ai concorsi pubblici, a patto che abbiano conseguito 24 crediti universitari in settori formativi psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie didattiche.
Il sindacato, nell’apprezzare la decisione di aprire la selezione pubblica a tutti coloro che hanno concluso il percorso accademico, chiede pubblicamente a chi gestisce l’istruzione pubblica statale i motivi che hanno portato, invece, la stessa maggioranza governativa e parlamentare, la stessa amministrazione scolastica, a negare l’accesso alle medesime prove in occasione dell’ultima tornata concorsuale introdotta con la Legge 107 del 13 luglio 2015. Per quale motivo oscuro, quel concorso, presentato come “innovativo” e organizzato per “selezionare i migliori docenti puntando sul merito, sul riconoscimento del percorso svolto e sulla qualità”, ha sbarrato la porta ai laureati? Perché il Miur ha difeso strenuamente quella decisione anche in Tribunale, che deve peraltro ancora esprimere l’ultima parola sulla diatriba giudiziaria venutasi a creare? Perché nel 2012 la laurea bastava, nel 2016 non più e nel 2018 sarà invece di nuovo ritenuta valida?
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal, “chi fa le leggi sulla scuola si sta dimostrando sempre più incoerente e privo di logica. La laurea, fino a prova contraria, non può ‘scadere’ come se fosse un alimento. È un titolo di studio che ha valore legale, anche se qualcuno vorrebbe far venire meno questa preziosa peculiarità, avendo tentato di smontarne la portata anche in occasione delle audizioni tenute nelle scorse settimane proprio sulle leggi delega della Buona Scuola. Per questo motivo, il titolo della laurea non può essere sospeso ad tempus: o è valido oppure non è valido. E siccome lo è, il Miur ammetta l’errore fatto con il veto inserito nel bando pubblicato nel febbraio dello scorso anno”.
“Per una volta – continua Pacifico – l’amministrazione scolastica ci stupisca, con una lezione di onestà intellettuale: riapra il concorso a cattedre 2016, dando la possibilità di parteciparvi anche ai quei laureati che ha ingiustamente escluso. Non può la stessa maggioranza di Governo comportarsi in questo modo, rasentando la schizofrenia. In ballo, ci sono tanti giovani che vogliono fare l’insegnante, che hanno studiato per farlo e non meritano questo trattamento ambivalente. Si sani l’errore e si chiuda la questione una volta per tutte. Si tratterebbe di una decisione saggia, di cui gli sarebbero grati anche gli studenti, che oggi si ritrovano davanti il corpo docente più vecchio dell’area Ocse. Largo ai giovani, largo al buon senso”.