In audizione davanti alla commissione Anagrafe tributaria, la direttrice dell’Agenzia delle entrate, ci ha fatto sapere che gli abbonati alla Rai, nel 2016 sono stati 22 milioni, rispetto ai 16,5 di abbonati del 2015. 2.268 miliardi di euro. Questo per pagare, in parte, il servizio pubblico di informazione televisiva. In parte, perche’ ci sono le riscossioni per il cosiddetto canone speciale (per tv e per radio, dovuto da imprese e, comunque, soggetti Iva) e il canone radio, che e’ una percentuale prelevata in automatico dalle tasse pagate con l’assicurazione Rc-Auto. 6,5 milioni di abbonati in più che, presumibilmente, negli anni precedenti erano evasori fiscali.
Bene. Ora che l’imposta più odiata dagli italiani, e la più evasa, ha trovato una certa soluzione, non sara’ forse il caso di essere onesti con i contribuenti? Perche’ se un’imposta viene chiamata abbonamento o canone, c’è qualcosa che non funziona. E lo sanno bene tutti coloro che, facendo fede a questo modo di chiamare questa imposta, hanno magari pensato di non abbonarsi piu’… e sono stati beffeggiai dai call center della Rai e dalle informazioni che hanno trovato un po’ dovunque.
Siamo noiosi a tornare sull’argomento? Non crediamo. Siamo invece corretti: civilmente, giuridicamente, lessicalmente e razionalmente. Ora che l’incubo dell’evasione è venuto meno per i nostri governanti e legislatori, anche se fino ad oggi hanno usato questo metodo incivile di chiamare questa imposta, non sara’ il caso di cambiare? Quisquiglie da ragionieri? Suvvia, è lo Stato di diritto che si fonda su questi aspetti. Ovunque. Ed è proprio per questo che nel nostro Paese, noto in tutto il mondo per le cose doppie (morali di ispirazione religiosa o legali, che siano), c’è una grande frattura tra Paese reale e Paese legale. Ora, questa dell’imposta sul possesso di un apparecchio tv potrebbe essere una buona prima occasione. Fino ad oggi lo Stato ha dovuto fare “carte false” per costringere i contribuenti a pagare questa imposta, ma oggi che sembra abbia trovato un buon metodo per far sparire quasi completamente questo tipo di evasione, perchè non cogliere l’occasione per una ricaduta anche nel rapporto di fiducia (lessicale, terminologico e descrittivo) tra esso stesso e il contribuente? O forse il nostro non è un Paese da civiltà giuridica tale che dovrebbe vedere il contribuente consapevole di esser tale e quindi, come nei regni dei secolo passati e in non pochi ancora vigenti in tante parti del mondo, e’ bene che sia trattato come un imbecille, ignorante, uno che appena puo’ frega lo Stato, etc?
Chiediamo troppo?
Vincenzo Donvito, presidente Aduc