Ognuno riceve almeno un talento

 

di Ettore Sentimentale

Qualche tempo fa un ragazzo mi ha posto questa domanda: “È sufficiente essere in vita per essere viventi?”. Lì per lì ho banalizzato il discorso, riportandolo alla battuta (ovvia) circa l’epitaffio inciso sulla tomba di Monsieur de La Palice (poi modernizzato in Lapalisse): “Qui giace il signor de La Palice. Un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita”.
Chiaramente la questione posta dal mio interlocutore non riguardava la vita come fattore biologico, ma tutto ciò che attorno ad esso dà colore e sapore all’esistenza. Non nascondo che la domanda mi ha trovato alquanto impreparato, anche se sul momento ho abbozzato un’iniziale risposta che ruotava attorno al concetto che la vita non è solo un “dono”, quanto una “scelta”.
Con calma sono tornato a riflettere non poco sull’argomento e ora attraverso queste note vorrei articolare una risposta ad ampio respiro che desidero condividere con voi.
La prima affermazione riprende l’iniziale risposta e gravita attorno alla convinzione che dobbiamo continuamente scegliere il dono ricevuto (la vita) con un’accoglienza costante e attenta.
Penso sia necessario non tanto essere “attendisti” (come avviene nel calcio) per poi ripartire contrattaccando, ma andare verso la vita prima che essa arrivi a noi. Non si tratta certamente di stare sempre all’attacco o di partire “lancia in resta” a combattere contro i mulini a vento (simboli questi ultimi di ciò che ci sovrasta). In una battuta voglio dire che siamo chiamati a fare la storia piuttosto che subirne i suoi destini.
L’obiezione che naturalmente salta in mente a tanti è provocata dalla lettura (forse affrettata) della parabola dei talenti (Mt 25,14-30) nella quale sembra emergere un sentimento di grande ingiustizia davanti alla disparità della distribuzione. Addirittura a colui che aveva ricevuto un solo talento viene tolto per darlo a chi ne ha già dieci!
Davanti a questo dato, due sono le soluzioni: o restiamo bloccati dall’impulso di grave ingiustizia (che mettiamo in conto all’incomprensibile gratitudine divina) oppure iniziamo un percorso scandito da una verità inconfutabile: ognuno riceve almeno un talento.
In fondo, la vita è donata in parti uguali a ciascuno. Poi la strada (dal punto di vista umano) si biforca: ci sono coloro che si credono ricchi e vogliono dare in abbondanza ed altri un po’ meno. Ma c’è pure chi, avendo ricevuto un solo talento, mormora dentro di sé per la crudeltà e l’ingiustizia del padrone e rinchiudendosi solo sul proprio talento, finisce con il “sotterrarlo”. Fuori metafora: lo mette in una “tomba”. E a questo “sepolcro” è rinviato.
Questo riferimento alla buca (tomba) ci consegna un orizzonte di sfide che bisogna assumere. La metafora (con la relativa dinamica appena accennata) dell’uomo del solo talento ci obbliga subito a dire che c’è il rischio di “morte” per ogni vivente addirittura prima di morire. Questa “minaccia” di morte prende mille forme che converrebbe stanare avendo il coraggio di identificare le varie buche (tombe).
La conclusione di questo discorso rimanda alla provocazione del giovane con cui ho aperto questa riflessione: si può essere morti prima di morire perché non si è trovato il “posto” dove “collocare” la propria vita sulla terra, anzi si è preferito nasconderla nella tomba.
Non voglio certo ingigantire e nemmeno banalizzare il discorso sulla morte che – sorniona e contagiosa – può minare senza alcun rumore la vita di tutta una discendenza. È vitale declinare continuamente il “nuovo” compito, il più fondamentale di tutti: la nostra vita bisogna sempre sceglierla! E poiché questa scelta non è mai acquisita, bisogna rifarla. Ma mai identica, perché ogni passaggio domanda un affinamento.
La parola di Dio è telegraficamente vera e provocante: “Chi sceglie la vita, resterà in vita, e chi non la sceglie, sarà scelto dalla morte” (Dt 30,19).