Non basta una vita per scontare tanta ferocia, farlo uscire è follia

Ho detto al bambino di mettersi in un angolo… con le braccia alzate e con la faccia al muro… Io ci sono andato da dietro, ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte… l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva… il bambino ormai non era.. come voglio dire, sembrava molle, … era tenero, sembrava fatto di burro… Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, … e poi non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi … Io ho spogliato il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura… Dopo… abbiamo versato l’acido nel fusto… Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno, così, e l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra… dopo un po’… sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare con un bastone… Poi siamo andati tutti a letto a dormire”.

Così un collaboratore di giustizia apre squarci di orrore sulla morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, rapito il 23 novembre del 1993 a 13 anni e dopo 779 giorni di prigionia massacrato e poi sciolto nell’acido l’11 gennaio del 1996.
“Questa è la più ‘dignitosa’ delle morti prodotte da Totò Riina. Questo, fra tutti i crimini nefandi che ha commesso, è la più agghiacciante delle morti ‘dignitose’ che ha prodotto. E’ stato mandato in galera per rispondere anche di questo. E non gli basteranno tutti i giorni che gli restano neppure per avvicinarsi a scontare il debito che ha verso questa Italia sconvolta dalla sua ferocia. Farlo uscire addirittura prima, al cospetto della memoria del piccolo Di Matteo è qualcosa che in base al più banale senso critico rasenta l’incomprensibile, la follia, qualsivoglia possa essere la motivazione posta alla base di una tale decisione”.
Così il Coisp, Sindacato Indipendente di Polizia, per bocca del suo Segretario Generale, Domenico Pianese, si scaglia nuovamente contro la possibilità che venga scarcerato il boss di Cosa nostra Totò Riina, dopo la pronuncia della Cassazione che ha evidenziato il suo “diritto ad avere una morte dignitosa”.
“Ciò che conta e che deve venire prima – insiste Pianese – è la dignità del ricordo di un bambino; la dignità del sacrificio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, e delle loro scorte; la dignità delle divise di quelli che hanno pagato e ancora pagano cara la scelta di stare dalla parte dello Stato senza se e senza ma. Lo Stato adesso stia dalla loro parte alla stessa maniera. Cercare vendetta no, ma pretendere giustizia sì. Lo Stato ha il dovere di fare vera giustizia, ha il compito di impedire che passi il messaggio simbolico della liberazione di una belva mai sazia di sangue che non ha conosciuto alcun limite dettato anche da un briciolo di umanità pur di dimostrare la sua superiorità criminale, i cittadini hanno diritto e bisogno di sapere che la pena ha un senso perché viene espiata. Se Riina non finisce i suoi giorni in carcere allora è la morte del nostro lavoro, e certamente una morte niente affatto dignitosa”.