Elezioni amministrative, preferenze e voto di scambio

Passato il primo turno delle elezioni amministrative, analisi dei partiti a parte (tutti vincitori, nessuno sconfitto), uno dei mantra più ricorrenti in tanti i bar è la disamina del numero di preferenze.
Non esiste un numero di voti preciso oltre il quale scatta il retro-pensiero, ma ad un certo punto qualcuno insinua che le tante preferenze siano frutto di clientele e favori, piuttosto che espressione di un libero convincimento dell’utilità pubblica della persona votata. Ne devo desumere, stando a questo ragionamento, che quasi tutti i non eletti – o almeno quelli molto lontani dalla soglia di eleggibilità – siano i più onesti. Forse sono un ingenuo, però ragionando su questo aspetto del voto penso che se la congettura non è seguita da dati di fatto, alla fine in questi ragionamenti non si nota molta differenza da quelli secondo cui i cieli sono irrorati di scie chimiche da sedicenti ordini mondiali. Non credo per questo che la critica “al potente di turno” debba essere rivolta al silenzio (guai!), ma almeno che debba essere fondata.
La chiacchiera da bar, poi, si spinge oltre spostandosi dall’eletto all’elettore. Chi vota per avere un favore è persona di poco conto, un ignorante. L’ignoranza è lo stato di partenza di ogni essere umano. La conoscenza un percorso lungo quanto la vita. Molti non lo intraprendono, per le più svariate ragioni e tante volte senza colpa. Il pensiero medio borghese disprezza l’ignoranza e chi la incarna. Plebe, gentaglia, poveracci, gli appellativi più ricorrenti. La supponenza, sovente tipica nel borghese, è un inciampo più o meno permanente. Chi supponendosi dotto disprezza l’ignoranza diffusa è destinato alla lunga ad un deserto di solitudine e rancore. Nel voto l’ignoranza emerge spesso, molto spesso nella forma della convenienza. Giudicarla con supponenza basta al supponente, ma non serve ad eliminarla. Correggerla vuol dire rendere condivisa la conoscenza, cioè anche un modo di vivere.
Quanti di quelli che “quello i voti li compra…” ed ancora “quelli sono gentaglia senza spina dorsale che si vendono al migliore offerente” dopo il giudizio tranchant s’impegnano quotidianamente per evitare quel risultato?
Nessuna supponenza, da parte mia: la tentazione di fare proprie “le semplificazioni da bar” è forte e va rifuggita nel vivere di tutti i giorni. Non per forza con gesti eroici o chissà con che atteggiamenti: basta tenere un comportamento civicamente normale per far comprendere agli altri, almeno alla cerchia più o meno larga che ci circonda, che il supposto sotterfugio alla lunga porta alla sconfitta, tra le più dolorose che possano esserci perché riguarda la libertà individuale, cioè i nostri diritti. E quali sono questi comportamenti? Credo sia sufficiente rivendicare diritti, rispettare quelli degli altri, non sperare in favoritismi di ogni sorta, pretendere il rispetto della legalità da parte delle istituzioni e valutare il tutto di conseguenza ed ancora pretendere un’informazione corretta e non schierata, ecc. Forse anche su questi aspetti pecco d’ingenuità.

Alessandro Gallucci, legale, consulente Aduc