C’è posto per tutti nel mondo

di ANDREA FILLORAMO

Ritengo meritevoli di attenzione e ringrazio quei preti della diocesi messinese che mi scrivono o mi contattano, pregandomi e ammonendomi di non dar troppo spazio ai post di qualche “clericusvagans” che, a loro parere “semina dubbi” sul nuovo arcivescovo, lo chiama “azzeccagarbugli” di manzoniana memoria, “mette in dubbio quanto il vescovo promette di fare”, “ridicolizza”le sue omelie e non chiude il cerchio al suo personalissimo contenzioso iniziato con il vescovo precedente. Ciò anche per distinguermi da lui, dato che – mi scrivono – “i tuoi scritti tutti signorili e disinteressati si distinguono dai suoi, che sono rozzi e tendono a creare disordine e frammentazione nel clero”. Comprendo pienamente la preoccupazione dei miei amici, preoccupazione che è anche la mia. Dare spazio non significa, però, condividere, tant’è che mai ho citato e, quindi condiviso, i “dubbi” che egli ha manifestato sui comportamenti del nuovo arcivescovo, mai la “ridicolizzazione” delle sue omelie. Dare spazio può significare anche: ascoltare, vedere, sentire, “scoprire” la sofferenza di un prete solo e ammalato che non riesce a superare il “solipsismo” al quale si sente a torto o a ragione condannato e si “sbrodola”in considerazioni ad un tempo vere e false, a riflessioni oniriche, a sogni infranti, a desideri di tornare a un ministero attivo e si confonde dentro la ragnatela dei suoi pensieri, delle sue aspettative e nel volere un mondo che non è in nessun mondo, un mondo, cioè, di sole idee e fenomeni creati dalla propria ed unica coscienza. Quel prete, a mio parere, e non per cattiva volontà, non riesce a fare i conti con la propria solitudine, vale a dire non riesce a entrare in contatto con ciò che è più intimo a se stesso, entrare in relazione con tutte quelle parti di sé che sente estranee e nemiche e da cui tenta di sfuggire attraverso quella che chiamiamo rimozione. Diceva Freud che nessuno è “padrone in casa propria”. Per cercare di saperne qualcosa della “propria casa” è fondamentale passare per una certa solitudine che consente di entrare in rapporto con se stessi, di fare conoscenza con i propri limiti non più visti come un fallimento ma come una risorsa. Sperimentare una “certa dose” di solitudine permette ad ogni soggetto di crearsi, di sostanziarsi, di darsi una forma in grado di rapportarsi con il mondo degli altri, di incontrare gli altri senza temere di essere fagocitati. C’è posto per tutti nel mondo e i buoni incontri sono possibili quando ognuno sente di aver costruito per sé uno spazio in cui potersi muovere liberamente e permettere anche all’Altro dell’incontro di poter fare altrettanto. Questo è l’augurio che noi facciamo a quel prete. Siamo certi, altresì, che l’arcivescovo Accolla, che di sofferenze nella sua vita ne ha viste tante e di “solitudine” particolarmente di anziani se ne intende, non farà mancare il suo aiuto. A lui dico: “Eccellenza non se la prenda per quei post! aiuti piuttosto i preti anziani che un’insana transazione fatta dal suo predecessore ha privato della Casa del Clero, a vivere gli ultimi anni della loro vita nella serenità che indubbiamente meritano”.