Quanto amo la tua legge, Signore!

Dal Salmo 119
Quanto amo la tua legge, Signore!

La mia parte è il Signore:
ho deciso di osservare le tue parole.
Bene per me è la legge della tua bocca,
più di mille pezzi d’oro e d’argento.

Il tuo amore sia la mia consolazione,
secondo la promessa fatta al tuo servo.
Venga a me la tua misericordia e io avrò vita,
perché la tua legge è la mia delizia.

Perciò amo i tuoi comandi,
più dell’oro, dell’oro più fino.
Per questo io considero retti tutti i tuoi precetti
e odio ogni falso sentiero.

Meravigliosi sono i tuoi insegnamenti:
per questo li custodisco.
La rivelazione delle tue parole illumina,
dona intelligenza ai semplici.

di Ettore Sentimentale

Ritroviamo dopo circa sei mesi il salmo 119, di cui – al solito – la liturgia ci presenta uno stralcio di appena otto versetti (su 176), estrapolati soprattutto dalle lettere “ain” e “pe”. In tale orizzonte mi sembra utile ricordare che il componimento più lungo del salterio è un “acrostico” ritmato dalle varie lettere dell’alfabeto ebraico, ognuna delle quali contiene 8 versetti.
Prima di entrare nello specifico del commento penso sia opportuno contestualizzare la scelta di questo salmo all’interno della Liturgia della Parola domenicale. In effetti il carme rappresenta la risposta orante alla Prima Lettura (1 Re 3,5-12), nella quale Salomone, dopo aver sperimentato la vicinanza di Dio contro i nemici sconfitti, alla provocazione divina che in sogno gli dice: “Chiedimiciò che vuoi che io ti conceda” richiede “un cuor docile…che sappia discernere nel giudicare”.
Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’orante che mette alla base del suo agire l’osservanza della legge e la lode al Signore. La nostra composizione si apre con una netta affermazione da parte del salmista che sottolinea come la sua “eredità” consiste nella consegna (dono d’amore e ricchezza inestimabile) che il Signore ha fatto della sua “parola” alla comunità. Chi riceve tale dono non può fare alto che impegnarsi a custodirlo in cuore buono e generoso. Perché? Non tanto per il valore intrinseco del dono che vale più di “mille pezzi d’oro e d’argento”, quanto perché dietro di esso si celano l’amore, la consolazione e la misericordia divina…sono queste le caratteristiche che deliziano veramente la vita. Oggi potremmo parlare di “valori”…fuori commercio!?
Qui appare chiaro il riferimento a Salomone che è in cerca della “sapienza” (e non della ricchezza e degli onori) per governare secondo il cuore di Dio.
Il nostro autore è ben cosciente dell’importanza di tale scelta di fondo, tant’è che la riprende – seppur con altri termini –per ribadirne la portata vitale: “Perciò amo i tuoi comandi più dell’oro…”. Anzi, l’orante segna pure una linea di demarcazione fra la rettitudine dei precetti divini e la falsità dei sentieri che si discostano da ciò.
Scatta (in automatico) a questo punto una piccola provocazione che riguarda tutti coloro (laici ed ecclesiastici) che sono chiamati a esercitare un servizio di “governo” (piccolo o grande che sia).
Chi non si lascia “illuminare” dalla “comunicazione/rivelazione” della Parola non ha la luce necessaria per aprire la mente al discernimento e alla comprensione della vita, perché si è posto dall’altra parte della barricata, ben piazzato lontano dai “semplici”, le persone che vogliono farsi “istruire” dalla Parola di Dio.