Finalmente dopo settimane di serrate discussioni sull’immigrazione clandestina sulle coste italiane, e soprattutto sul ruolo delle varie Organizzazione non governative (Ong), sembra che ci sia una svolta importante, per risolvere e dirimere la difficile questione. I fattori che hanno contribuito alla svolta, sono stati almeno tre. Il primo, l’inchiesta della Procura di Trapani che sta indagando per immigrazione clandestina una Ong tedesca Jugend Rettet e ha sequestrato già una delle sue navi, la Iuventa. Accuse precise e circostanziate, fotografie compromettenti, testimonianze imbarazzanti, infiltrati al lavoro. Certo, il tutto andrà dimostrato in un eventuale processo e fino a prova contraria i responsabili della Iuventa restano indagati e basta. Andrea Zambrano, su LaNuovaBQ.it, ha scritto:“ciò che ha dato un colpo decisivo allo strapotere delle Organizzazioni non governative è l’inchiesta della Procura di Trapani”. Pertanto, scrive Zambrano: “A far capire alle Ong che le acque sono cambiate però, non è tanto il decreto Minniti che istituisce le regole di comportamento, perché questo è stato rifiutato dalle Ong e il nostro governo non ha potuto opporre particolari misure per farlo rispettare. A farle capitolare è stata come sempre accade in Italia la Magistratura. L’inchiesta della Procura di Trapani ha ancora molta strada da fare per poter arrivare ad una sua conclusione giudiziaria, intanto però un primo risultato l’ha ottenuto: far comprendere alle Ong che l’Italia non è il far west dell’immigrazione clandestina dove poter scaricare con la complicità del governo migranti economici travestiti da profughi. E’ questo il dato che più fa riflettere. Mentre negli altri Paesi le decisioni politiche vengono fatte rispettare con la forza della legge e se il caso quella delle forze dell’ordine, in Italia il bilanciamento dei poteri vede da tempo il predominio del potere giudiziario. Cosicché è soltanto per il suo intervento, sia anche un’inchiesta e non una condanna, se le cose stanno cambiando. (A. Zambrano, “Ong alla fonda più che il Palazzo potè la toga”, 14.8.17, LaNuovaBQ.it).
Il secondo fattore è la chiara e responsabile presa di posizione del presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), il cardinale Gualtiero Bassetti che ha sconfessato la linea di totale appiattimento sull’operato delle Ong e sull’accoglienza senza se e senza ma che univa l’asse Galantino-Caritas-Migrantes-Avvenire.
Di fronte al fenomeno dei migranti non si può “correre il rischio – neanche per una pura idealità che si trasforma drammaticamente in ingenuità – di fornire il pretesto, anche se falso, di collaborare con i trafficanti di carne umana”. Sono parole che il cardinale ha pronunciato nell’omelia tenuta a Perugia in occasione della festa di san Lorenzo.
“Ribadisco ancora oggi, di fronte alla “piaga aberrante” della tratta di esseri umani, come l’ha definita Papa Francesco, il più netto rifiuto ad ogni “forma di schiavitù moderna”. Ma rivendico”, ha specificato Bassetti, “con altrettanto vigore, la necessità di un’etica della responsabilità e del rispetto della legge”.
Il presidente della Cei, ha chiaramente esortato a non offrire alcun “pretesto di collaborare con i trafficanti di carne umana”. Quella del cardinale, è una posizione realistica, che non significa un“di meno nella difesa dei migranti per venire incontro alle esigenze dell’Italia”, scrive Cascioli, “ma è un di più di interesse alla persona che tiene conto di tutti i fattori che riguardano i drammi di chi arriva sulle coste italiane dopo mesi e mesi di sofferenze e violenze che iniziano dal paese d’origine”. (R. Cascioli, “Sbarchi e Ong, una svolta e un chiarimento”, 12.8.17, LaNuovaBQ.it) Monsignor Bassetti, in una intervista ad Avvenire, ha detto:“Sapete che non c’è una donna fra i migranti accolti qui che non sia stata violentata? E sapete che tutti vengono continuamente minacciati di essere affogati se non cedono ai ricatti di vere e proprie mafie che gestiscono i traffici dei migranti?”.
Tuttavia per Cascioli,“si potrebbe continuare ricordando ad esempio i cristiani che vengono emarginati o perseguitati nei campi profughi e nei centri di accoglienza da parte dei musulmani, e andando a ritroso si deve tenere a mente le violenze e i soprusi di cui questi migranti sono fatti oggetto da quando partono dai loro paesi, al punto che coloro che arrivano ad imbarcarsi sulle coste della Libia sono comunque i sopravvissuti di un numero ben più grande”.
L’altro fattore, che ha risolto la questio immigrazione, almeno per ora, è la decisione della Libia di istituire una Zona SAR (Ricerca e Soccorso) "limitando l’accesso delle Ong in acque internazionali" e ad un "rischio sicurezza dovuto a minacce della guardia costiera libica".
Si tratta della prima conseguenza della “cacciata” delle navi delle Ong dalle acque libiche annunciata dal portavoce delle forze navali di Tripoli, Ayub Qassem che intimato a “tutte le navi straniere di restare fuori dall’area di ricerca e soccorso” che si estende fino a 180 chilometri dalle coste.
“Vogliamo mandare un chiaro messaggio a tutti coloro che infrangono la sovranità libica e mancano di rispetto per la Guardia Costiera e alla Marina” ha detto Qassem precisando che la decisione riguarda “le Ong che sostengono di voler salvare i migranti clandestini e di condurre azioni umanitarie”. Inoltre, il portavoce, ha ribadito che, “Siamo capaci di condurre le operazioni di salvataggio. La nostra presenza annulla la loro presenza e siamo stufi di queste organizzazioni: hanno fatto aumentare il numero dei migranti e hanno rafforzato i trafficanti e poi ci criticano per il mancato rispetto dei diritti umani”.(G. Gaiani, La “ritirata” dell’Ong e le lezioni all’Italia dalla Libia, 13.8.17, LaNuovaBQ.it).
Che fanno sul serio i libici se ne è accorta una nave di una ong spagnola, che è stata messa in fuga dagli spari di una motovedetta libica. A questo punto un’amara riflessione va posta:“Uno “Stato fallito” impartisce lezioni di sovranità all’Italia e alla sua classe politica che continua a dividersi ideologicamente sul ruolo di organizzazioni private che da oggi sono state messe fuori dalla crisi dei migranti dalle autorità marittime libiche.
Fa sorridere, non senza amarezza, constatare che i libici hanno dimostrato all’Italia che le questioni strategiche che concernono interessi e sicurezza nazionale devono essere gestite dallo Stato e dai suoi apparati, non lasciati in balìa di privati che rispondono a lobby e interessi diversi e spesso ostili a quelli della Nazione”.
Quanto sia difficile risolvere la questione immigrazione è interessante un fondo di qualche settimana fa di un giornalista de La Verità, Bruno Tinti. A proposito delle Ong e poneva delle questioni oggettive e domande sul modo di condurre l’accoglienza di queste organizzazioni.
Questi paladini del sociale, si pongono di attuare mirabolanti obbiettivi con rigorosi principi etici, ma poi non accettano i costi, specie quando sono coinvolti personalmente. Per il giornalista de La Verità, il problema immigrazione conduce a una dissonanza cognitiva, dove si possono incrociare pregiudizi e stereotipi mentali.
Tutti siamo d’accordo con il principio che “la vita di una persona va salvata sempre”. Le cose si complicano però quando si mette in piedi una organizzazione che di professione pattuglia i mari per salvare vite in pericolo.“In questi casi, scaricarle sulla spiaggia perché ci pensi qualcun altro (che non condivide affatto la vision dei salvatori professionisti, magari solo perché non considera il salvataggio in questione tra i suoi compiti istituzionali; e anche perché ha anche troppo da fare per salvare i propri concittadini) e quantomeno superficiale”. (B. Tinti, Il duro scontro fra teoria e prassi dell’accoglienza, 10.8.17, La Verità)
Se poi peraltro ti accordi con i Paesi che favoriscono l’emigrazione e gli affaristi che gestiscono la “carne umana”, allora è il procedimento diventa criminale. Ma se queste organizzazioni umanitarie insistono per intervenire nei Paesi corrotti africani, secondo Tinti,“bisogna che queste si facciano carico dell’intera filiera: dal salvataggio in alto mare, al ricovero negli ospedali o centri di accoglienza da loro stessi gestiti (e finanziati), all’inserimento in attività lavorative che permettano ai ‘salvati’ di mantenersi dignitosamente. Insomma, – chiarisce Tinti – fare beneficenza con i soldi e l’impegno degli altri non è accettabile”.
Ma c’è un’altra realistica argomentazione da porre, ed la “vision” di quelli che non vogliono accettare la migrazione, per ragioni diverse che vanno dall’impossibilità economica di sostenerla fino al vero e proprio razzismo”. Che siano d’accordo o meno, i migranti arrivano. A questo punto Tinti pone delle domande oggettive, escludendo il problema di cosa bisogna fare per non farli partire. Pertanto, una volta partiti sui barconi che cosa si fa, si sbarra il passo e si comunica che devono ritornare da dove sono venuti? Se non obbediscono? Si sperona? Si apre il fuoco? E se il barcone affonda e i migranti sono in mare? Naturalmente, la legge del mare, impone di salvarli. Una volta che questi migranti metteranno piede a terra; a questo punto che si fa? E qui per Tinti, subentra un’altra “vision”. I migranti si respingono e si riportano indietro. Ma dove? “Perché non è sempre semplice accertarne la provenienza”. Ammesso che sia possibile, una volta che si è fatta la distinzione tra immigrati profughi e quelli economici, si imbarcano i secondi su una nave e rispediti al proprio Paese di origine. Ma a questo punto che si fa se questo non li vuole e si impedisce alla nave di attraccare?
Ecco le conclusioni su questa materia, sono proprio quelle che“tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Sarebbe bene ricordarselo prima di assumere posizioni intransigenti”.
Domenico Bonvegna
domenico_bonvegna@libero.it