Per Ocse Italia maglia nera per spesa pubblica istruzione e Neet, penultimi come laureati

“Quali altri dati devono giungere da fuori confine per convincere il Governo di turno a cambiare politica sulla scuola e sulla formazione dei giovani?”. A chiederlo è Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario confederale Cisal, nel giorno in cui l’Ocse ha ribadito che siamo la maglia nera nell’area per la spesa pubblica complessiva nell’istruzione nel 2014, addirittura con un calo di spesa per il ciclo compreso tra la scuola primaria e l’università del 9% rispetto al 2010. Inoltre, nello stesso periodo l’Italia ha dedicato il 4% del suo Pil all’istruzione (contro il 5,2% della media Ocse), con un calo del 7%.

Sempre l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ha detto che l’Italia registra appena il 18% di laureati, contro il 37% della media nella zona Ocse: il dato più basso dopo quello del Messico. Come “ciliegina sulla torta”, abbiamo pure il record di Neet: in Italia un ragazzo tra i 15 e i 29 anni su 4 (26%) non è occupato o non è iscritto a un percorso di formazione, contro una media Ocse del 14%.

Quella dell’Ocse è però solo una triste conferma: sui bassi investimenti e livelli di istruzione, un ridotto numero di laureati, troppi ragazzi che lasciano i banchi prima del tempo e il record di giovani che non studiano né lavorano, si era espresso chiaramente l’Istat attraverso il rapporto “Noi Italia” solo pochi mesi, sottolineando che per quanto riguarda gli abbandoni scolastici, “l’Italia si piazza anche al quartultimo posto (14,7% contro una media Ue28 dell’11%). Peggio di noi solo Romania, Malta e Spagna”.

A fronte di certi dati così inequivocabili e scoraggianti, l’Anief aggiunge che l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha potenziato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri. La tendenza al risparmio è storia vecchia: l’Italia già nel 2000 spendeva il 2,8% in meno della sua spesa pubblica rispetto alla media OCSE (Italia 9,8% – Ocse 12,6%). Dieci anni fa, la nostra Penisola era sempre all’ultimo posto tra i Paesi G20 (32° posto) con un -4,1% (Italia 8,9% – Ocse 13,0%). Né la situazione è migliorata in rapporto al P.I.L.: -0,9% nel 2000 (Italia 4,5% – Ocse 5,4%) e -1,6% nel 2010 (Italia 4,7% – Ocse 6,3%), dove ci collocavamo al terzultimo posto (31°).

Così, la spesa pubblica italiana dedicata all’istruzione già di per sé l’80% di quella destinata dagli altri Paesi Ocse, è infatti scesa del 10% in controtendenza all’aumento seppur modesto del 3% registrato sempre negli altri Paesi, così da abbassarsi al 67% rispetto ai livelli intermedi. A fronte di tali modesti investimenti, i centri formativi pubblici non hanno potuto fare miracoli. Anzi, sono stati costretti a condurre politiche opposte a quelle di chi vuole invogliare i giovani ad avvicinarsi alla scuola secondaria e terziaria: prima di tutto non investendo nell’orientamento formativo e poi, nel caso degli atenei pubblici, portando le tasse di iscrizione degli studenti fuori corso dal 25% al 100%.

È anche significativo che negli ultimi tre lustri chi ha tentato solo di fare l’insegnante, attraverso le Ssis, fino al 2011, e i Tfa, più di recente, ha dovuto pagare “oboli” sempre maggiori, fino a 200 euro, anche solo per accedere alle prove preselettive. E coloro che sono stati ritenuti idonei, hanno dovuto poi sborsare cifre variabili fra i 3mila e i 4mila euro, specializzazione per il sostegno compresa.

“In Italia ci sono province dove più del 40% di giovani abbandona la scuola prima del tempo – ricorda Marcello Pacifico –, perché si continua a pensare che gli incrementi per la formazione giovanile rappresentano un costo e non un investimento. Addirittura, siamo arrivati ad alzare le barriere nelle Università pubbliche. Bene ha fatto il Tar del Lazio a bocciare il numero chiuso per le facoltà umanistiche alla Statale di Milano: una modalità ingiustificata, introdotta per rendere elitaria la frequenza di determinati corsi di laurea. È una logica che non accettiamo: invece di aumentare di almeno un punto percentuale la spesa per l’istruzione, come ha da tempo chiesto il sindacato assieme a tutta l’opinione, ora scopriamo addirittura che la spesa per tutto il ciclo formativo fino all’Università è scesa del 9% rispetto al 2010”.

“Ma non solo: l’Ocse ci ha anche detto che anche l’investimento complessivo rispetto al prodotto interno lordo è sceso sensibilmente. È inutile ricordare ai nostri governanti che formare il capitale umano significa credere nella capacità evolutiva e lavorativa umana, oltre a rilanciare lo sviluppo economico del Paese. Lo sanno bene, ma remare contro questo obiettivo è una precisa scelta, che va oltre il risparmio dei soldi pubblici, sposandosi evidentemente – conclude il sindacalista Anief-Cisal – con la necessità di tenere basso il livello culturale di quello che una volta chiamavano il Bel Paese”.