Un’analisi di Pil, consumi, forze lavoro, numerosità delle imprese e andamento degli indicatori di povertà assoluta per capire come è cambiata l’economia delle regioni italiane prima e dopo la crisi e quali sono le prospettive di crescita. Questo l’obiettivo del rapporto dell’Ufficio Studi di Confcommercio presentato a Roma presso la sede nazionale della Confederazione. Secondo il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, "la ripresa economica che si sta consolidando è ancora avvolta da molte incertezze e appare meno vigorosa sia rispetto alle precedenti analoghe fasi cicliche italiane quanto, soprattutto, nel confronto internazionale". "La ripresa avviatasi nel 2014 – ha sottolineato Bella – ha coinvolto tutti i territori mostrando spunti di vivacità anche nel Mezzogiorno. Tuttavia, essa non sembra in grado di tracciare un sentiero di sviluppo atto a determinare un significativo avvicinamento tra le diverse aree del Paese. Nel Sud il Pil pro capite del 2017 dovrebbe risultare, infatti, pari circa il 53% di quello del Nord-ovest, valore ancora inferiore a quanto registrato nel ’95 (54,5%)". "Pure non condividendo – ha concluso – la tesi di chi sostiene che maggiore spesa pubblica, magari in investimenti, sia l’unica soluzione alla crescente divaricazione regionale cui si assiste, confermata oggi nonostante qualche recente segnale di ripresa del Sud, non si può trascurare di rilevare come manchi un progetto di riduzione dei gap infrastrutturali tra le diverse regioni italiane". "E’ irrinunciabile che su questo punto, anche cogliendo l’occasione della prossima lunga campagna elettorale, la politica e le istituzioni si pronuncino con chiarezza". Infine, conclude il rapporto sul fronte delle aziende, tra il 2009 e il 2017 si è registrato un ridimensionamento del numero di imprese in quasi tutti i settori economici. Tale dinamica si è sviluppata in modo articolato nelle diverse ripartizioni territoriali. Il dato di riferimento è quello relativo alle imprese attive cioè le imprese iscritte nel Registro Imprese che esercitano l’attività e non risultano avere procedure concorsuali in corso, cioè procedure per il fallimento e per la liquidazione. E’ un universo più ristretto rispetto alle imprese registrate che rappresentano, invece, tutte le imprese non cessate iscritte nel Registro indipendentemente dallo stato di attività assunto. Tra il 2009 e giugno 2017 tutte le ripartizioni geografiche hanno segnalato un ridimensionamento dello stock complessivo delle imprese attive (-132.970 unità), ma gli effetti negativi della crisi vissuta sono stati più pesanti nel Nord-ovest (in cui opera oltre il 26% della base produttiva del Paese) dove lo stock si è ridotto di oltre 79mila unità, circa il 60% delle imprese perse nel periodo in Italia. L’altra ripartizione dove si è segnalata una sofferenza significativa è il Sud (quasi 40mila imprese in meno nel periodo) nonostante dal 2015 l’area abbia evidenziato una crescita dell’attività economica. Dal punto di vista dei settori economici, nel periodo in esame i servizi legati all’attività alberghiera, alla ristorazione ed i servizi alle imprese ed alle famiglie hanno rappresentato le aree dove l’iniziativa imprenditoriale è stata più intensa e diffusa sul territorio, con effetti positivi in termini di varietà di servizi a disposizione dei consumatori e di opportunità occupazionali. Oltre 50mila unità è l’incremento dello stock delle imprese attive per quanto riguarda alberghi e pubblici esercizi di cui il 40% al Sud, e di oltre 64mila unità l’incremento delle imprese che operano nei servizi di mercato di cui il 30% ha interessato il Sud.