Informazione di Stato. O l’informazione non funziona oppure è lo Stato che non funziona…

TGUno delle 13,30 di domenica 17 settembre. Premessa: è breve perchè c’è la Formula Uno da Singapore che preme (prima di questo tg mandavano…. Formula Uno). Sentiamo le notizie:
– Prime, italiane: Gentiloni dice a Milano, Berlusconi dice a Fiuggi e Salvini dice a Pontida.
– A seguire, estero: Al Fatah riconosce l’Autorita’ palestinese, cronache della bomba alla metropolitana di Londra, l’aereo della British che per falso allarme ha scaricato i passeggeri ad un aeroporto di Parigi.
– E poi: cronache a margine dell’assassinio di Noemi (donne vittime “rigidamente” chiamate per nome proprio, succede altrettanto per i maschi?)
– A finire: sport e pubblicità per alcuni programmi della serata Sono rimasto a bocca aperta, proprio perchè sono un cittadino contribuente che paga le imposte per avere anche questi servizi di informazione dallo Stato. Nella fattispecie è un servizio su cui non è consentito di metter bocca in nessun modo se non, attraverso le massime istituzioni rappresentative, a cui poi, chi di dovere, risponde che lui ha sempre ragione.
Lo stupore nasce dal fatto che, per mia fortuna e costanza, mi informo essenzialmente attraverso altri canali e media. Quello che mi ha colpito è l’assenza di notizie di primo piano di un certo rilievo cosi’ come, seguendo in giornata altri media non dello Stato italiano, mi ero fatto idea fossero importanti (tipo: crisi Rohingya ormai ai confini tra Myanmar e Bangladesh, referendum kurdo in Iraq e quello in Catalogna).
Mi sono chiesto: a cosa serve un tg del genere? A parte le banali considerazioni sui soldi, i giornalisti piu’ o meno espressione dei partiti in Parlamento, l’equilibrio di un servizio pubblico (con tanto di pubblicita’) che fa concorrenza ai media privati… mi chiedo come ci si senta a fare tg del genere (includendo tutti i soggetti che vi contribuiscono) e, soprattutto, come ci si sente a subirli.
Sul primo aspetto, in questo contesto, abbiamo poco da aggiungere alle considerazioni gia’ accennate. Siamo invece preoccupati per il secondo aspetto: come ci si sente a subire. Domanda poco frequente in una società in cui l’impegno e il riscontro civico o è estremo, sloganistico e spesso finto e montato ad arte da macchine del consenso, o non c’è. Cioè, c’è la rassegnazione che le cose sono in certo modo (non gradito) e nulla è possibile fare perche’ non sia tale. E quindi ognuno fa per sè, anche -per fortuna- in considerazione del fatto che per l’informazione, la funzione e la nicchia di quella elargita dallo Stato è insignificante per i piu in termini culturali, antropologici, sociali ed economici; ma lo è per chi dirige il nostro Stato e la nostra amministrazione. Se poi proiettiamo questa situazione a livello europeo e internazionale, l’insignificante diventa anche ridicolo, inutile e dannoso. Noi italiani siamo famosi nel mondo non certo per i media e l’informazione, ma solo per l’abbigliamento, il cibo e i bei posti da visitare (tutte eredità della storia passata*).
Eppure i soldi non ci mancano. Così come non ci mancano alcune professionalita’ (non necessariamente quelle che sono andate all’estero). Cosa c’e’ che non funziona, l’informazione o lo Stato? 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc