Certo, nella vita avrei potuto fare il dipendente di qualcuno (meglio se della pubblica amministrazione), e il “problema” del pagamento delle tasse non sarebbe stato tale. Ma la vita, non si sa come e come capita, mi ha portato a non avere una retribuzione fissa con un datore di lavoro. Sono io stesso il mio datore. Lo so, avrei anche potuto fare lavoretti extra-orario di lavoro dipendente, e quindi avrei soddisfatto alcune mie fregole economiche e di realizzazione umana. E su questi lavoretti “secondari”, le tasse sarebbe stato molto difficile che le avrei pagate, foss’anche che andavo a far fruttare le mie capacita’ “fai da te” e mi facevo pagare per riparare un tubo di un lavandino, tanto chi paga, se vuole la fattura paga solo di piu’ e nient’altro. Ma sono quel che sono. E devo dire che il mio essere mi ha portato ad essere ligio a diritti e doveri, inclusi quelli del cittadino contribuente. Perche’ dovrei essere altrimenti?
Anche se mi rendo conto di essere un fiore raro, sono comunque consapevole dei vantaggi che ricavo dall’essere un contribuente ligio, scrupoloso e permanente: ho studiato e studio abbastanza per capire certe cose ed avere un notevole senso civico; e mi sento a posto quando poi critico chi non fa il suo dovere in merito. Dovrei stare bene. Ma non sto bene. Al commercialista, che sono costretto ad utilizzare pena errori ed errori e soldi e soldi, consegno sempre con precisione tutto quello che gli serve. E visto che c’ero, gli ho anche dato contezza del mio piu’ privato: la casa di proprieta’ e quelle scaglie di eredita’ che mi costano piu’ che guadagnarci, ma che trattengo per affetto. Ma oggi mi ha chiamato, qualche conto non torna, perche’ l’aliquota, il contributo, il versamento, la tempistica… c’e’ qualcosa che non e’ tornato, ed e’ arrivata una cartella “pesantuccia”. Lui dice che non e’ colpa sua, ma che, eventualmente, farebbe scattare l’assicurazione che in qualche modo mette al sicuro entrambi da bagni inutili di soldi… anche se il suo premio con l’assicurazione non ne restera’ indenne. Ma, a parte le colpe, di fatto devo versare piu’ soldi, che non ho. Non sono un accumulatore, si potrebbe dire che vivo alla giornata, ma lo faccio senza problemi per me e per quei cari a cui in qualche modo verso il frutto economico della mia attivita’. E come faccio? Ah, ecco, chiedo in banca, sono un cliente che muove abbastanza denaro e non dovrebbero essere riottosi. Fatto: mi danno un piccolo prestito, e lo pago. Cosi’ come pago la cartella “pesantuccia”, anche se mi e’ meno pesante grazie all’assicurazione del commercialista. Pero’, una curiosita’: ne parlo col commercialista, come e’ potuto accadere. Ah, ho capito: e’ impossibile che non accada; bisogna mettere in conto anche questi aspetti, una sorta di fondo imprevisti? Ma imprevisti di che? Ah, saperlo. E non lo dico solo io, ma anche il commercialista. Ed io che pensavo che gli imprevisti, almeno in questo ambito che non concerne gli affetti ma la certezza dei diritti e delle pene, non ci dovessero essere. Soprattutto per chi come me ha cre duto di mettersi in condizione di non doverli affrontare. Ma forse e’ meglio seguire anche l’istinto di sopravvivenza, e il “fondo imprevisti” ricavarlo dalla limatura del dovuto, limatura che -impossibile il contrario- non e’ mai esente dall’essere sul filo del rasoio della legalita’, e spesso anche oltre.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc