L’ultima trovata – capolavoro di originalità – del Ministro alla salute, Beatrice Lorenzin, è che ogni fumatore dia 20 centesimi a pacchetto in favore della spesa sanitaria. Parto rea confessa, sono fumatrice. E sarei d’accordo, se chi dice di tutelare la mia salute non fosse lo stesso soggetto che dal mio vizio ricava il 76,5% di denaro. Avete mai visto un’oste che invita i clienti all’astemia? Ci vuole, poi, una certa faccia tosta a parlare di microtassa su prodotti il cui prezzo è già composto, al 76,5%, di tasse.
L’aumento è attualmente in fase di studio. Ci sono serie perplessità sull’efficacia economica dell’operazione, perché se si carica la microtassa sulle sigarette che costano meno, quindi comprate da fasce della popolazione più povere, finisce che questi smettono di fumare. Lo suggerisce il fatto che nonostante gli ultimi rincari il gettito previsto è diminuito. E allora occorre fare attenzione e mantenere un funambolico equilibrio, perché se tutti smettono davvero dove lo recuperiamo poi quel gettito fiscale?
Ed io, ingenua, che credevo che scopo (magari principale) della microtassa fosse proprio scoraggiare il fumo. Il gettito diminuisce anche perché più aumentano le tasse più il mercato nero si sfrega le mani: nel 2015 l’Italia, dopo la Polonia, è stato il paese UE dove so no state smerciate più sigarette di contrabbando (2,3 miliardi di sigarette, circa l’8% del mercato illegale europeo è nel nostro paese).
Ma quale metodo usare per convincere i singoli, liberi di scegliere di che morte morire, a smettere di fumare per il bene loro e delle casse della sanità?
Informazione, che passi prima di tutto dall’etichetta, affinchè il consumatore (che già sa che fanno male) sappia, al di là del messaggio scritto come un manifesto funebre e delle foto shock, cosa c’è dentro. Perché con l’attuazione della più recente direttiva UE in materia sono spariti i pacchetti da dieci sigarette, sono aumentate in grandezza foto e messaggi negativi, ma sono anche sparite le indicazioni su percentuale di condensato e nicotina. Per il legislatore europeo, queste indicazioni favorivano nel consumatore l’idea che un determinato prodotto fosse meno nocivo di un altro. E siccome i consumatori sono deficienti, meglio informarli con immagini e slogan anziché con l’elenco completo dei componenti.
Quasi quasi smetto. Per dispetto.
Emmanuela Bertucci, legale, consulente Aduc