Dev’essere concessa la protezione internazionale allo straniero che si sente minacciato dalla setta religiosa di cui fa parte. A stabilire questo principio è la Cassazione con l’ordinanza n. 26122/17, depositata il 2 novembre che per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, costituisce un significativo precedente in materia. Nella fattispecie i giudici della dalla sesta sezione civile hanno accolto il ricorso di un cittadino nigeriano avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna che aveva rigettato l’istanza contro il diniego di protezione internazionale. Per gli ermellini il giudice del merito ha errato nel non aver acquisito le informazioni necessarie sulla situazione del paese di provenienza del ricorrente e del contesto in cui viveva. In particolare, rilevano i giudici di legittimità che la Corte di giustizia dell’Unione europea, «pur non negando in assoluto la necessità del requisito del carattere individuale della minaccia con riferimento alla fattispecie di protezione sussidiaria» (articolo 15, lett. c, direttiva 2004/83/CE) ha, tuttavia, affermato che «l’esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale». Dell’accertamento di una situazione eccezionale, quale quella dedotta dal richiedente, la Corte di appello non si è data carico, essendosi limitata ad escludere «la persuasività e gravità degli elementi di individualizzazione del pericolo di danno grave legati ai rapporti del ricorrente con la setta religiosa degli Ozowere, dalla quale egli aveva riferito di essere minacciato».