di Emilio Fragale
Attenzione a eccitare l’odio sociale. Mutuando un concetto de “La Stampa” si potrebbe dire – avuto riguardo al rapporto tra politica e giustizia – che l’elenco (incompleto) degli assolti e prosciolti si allunga sempre di più. Sgombriamo il campo da un luogo comune. Nessun politico rivendica impunità. Si può – invero – discutere delle immunità ma nessuno ricerca impunità. Peraltro, chiunque (non solo il politico) si ammanti di intoccabilita’ soffrendo di delirio di onnipotenza è destinato alla autodistruzione.
Posto che governo e parlamento dovrebbero occuparsi, in primis, di produzione di ricchezza diffusa (quindi di redistribuzione delle opportunità, di sviluppo socio-economico, di rilancio dei livelli occupazionali, di riduzione della pressione fiscale, etc. etc.) un nodo in Italia resta drammaticamente irrisolto. Questo nodo ha la sembianza di un cappio da cui è difficilissimo divincolarsi per ogni cittadino (e non solo per chi fa politica). Trattasi del perverso atteggiarsi del “rapporto” tra magistratura inquirente e cronaca giudiziaria soprattutto quando all’esercizio della azione penale si accompagnano richieste e applicazioni di misure cautelari.
Personalmente credo che il PM debba sottostare esclusivamente alla legge, non essere subordinato al alcun esecutivo, rivestire il ruolo di magistrato con carriera nettamente separata da quella del Giudice (possibilmente anche con due diversi concorsi) ma credo, altresì, che fughe di notizie rimaste sempre zona franca e conferenze stampa con profluvi incontinenti di verdetti che restano incancellabili (nonostante future eventuali assoluzioni) siano distorsioni incivili e destabilizzanti di uno stato di diritto. Questo rapporto ha fattualmente cancellato il valore costituzionale della presunzione di innocenza. Per me non si tratta più di disfida intellettuale tra garantisti e giustizialisti. Quel rapporto, che – gioco forza – finisce per sedimentare e stratificare crescente rabbia sociale, rischia di degenerare dalla perversione alla eversione. Se in questo Paese l’inchiesta resta scolpita e la sentenza (di assoluzione e di condanna) diviene accidente, se il giudicato è un orpello, se il terzo grado è la parte romanzata e romantica di un sistema complessivo che ti espelle e reprime con un avviso di garanzia, se si gode al tintinnare delle manette, se i tic tac vengono scanditi da orologerie sfasate al lume del buon senso, se l’equilibrio tra esigenze di tutela della c.d. difesa sociale e della libertà si spezza a favore dello scoop, del blitz e delle immagini di repertorio, siamo tutti in pericolo di persecuzione sommaria ed esecuzione immediata (giornalisti e magistrati compresi).
Prima o poi, continuando di questo passo, le tifoserie si scontreranno nelle Aule o davanti ai Tribunali. Perderà la Giustizia. Soccomberà la Democrazia. Sarà soffocata la Libertà.