Ha sete di te, Signore, l’anima mia

Dal Salmo 63
Ha sete di te, Signore, l’anima mia

O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando nel mio letto di te mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.

di Ettore Sentimentale

Abbiamo già incrociato questo salmo alla XXII dom. del tempo ordinario (3 sett 2017). Ora la liturgia ne ripresenta la prima parte come risposta a Sap 6,12-16 (prima lettura), testo nel quale viene esposta la ricerca della sapienza da parte di coloro che vogliono dare un senso alla loro vita.
La selezione a noi proposta è contrassegnata da un duplice “linguaggio”: del “desiderio” e della “lode”. L’ouverture del salmo (quasi fosse una sinfonia) è dominata da un ricco vocabolario imperniato sulla “sete” metafora del “desiderio”: “io ti cerco…ha sete di te l’anima mia…desidera te la mia carne”. Tutte espressioni strettamente collegate fra loro che rimandano all’anelito fondamentale della vita.
La dimensione fondamentale del “desiderio” è abilmente descritta da alcune immagini simboliche di immediata comprensione. La prima è quella della “terra arida, senz’acqua”, metafora nella quale l’orante intravede e rilegge la propria esistenza. È doveroso però fare subito una precisazione. Il simbolo della terra assetata non indica tanto l’aridità del salmista, quanto la sua sete ardente di Dio. Dal contesto appare evidente che l’accento non è posto sulla “sterilità” della terra, quanto sul desiderio che essa brami l’acqua.
Fuori metafora si può tranquillamente affermare che questo fedele (Davide?) non lamenta l’assenza o il silenzio di Dio o l’essere caduto in disgrazia (come avviene in tanti altri salmi). La sua relazione con Dio, infatti, è alquanto “viva”, colma di lode e di fiducia, ma ciò non impedisce che sia “marchiata” dal desiderio, attraversata da una costante e rinnovata aspirazione all’incontro.
Per “gustare” pienamente la portata teologica del desiderio, vi invito a prendere in mano il testo di MARCELLO SEMERARO, Il ministero generativo, EDB 2016, 45-68. Si tratta delle pagine del 2° capitolo dal titolo “desiderare”.
Torniamo al nostro testo e chiediamoci: alla fine questo desiderio ardente dell’orante si è realizzato? La risposta è affermativa e la si trova nel prosieguo del salmo. Infatti proprio quando il salmista è venuto nel “santuario” (cioè il tempio) ha fatto un’esperienza privilegiata (“ho contemplato la tua potenza e la tua gloria”) della quale ancora ne percepisce le conseguenze a tal punto che continua a “benedire Jahweh pe tutta la vita”.
Siamo così al “linguaggio della lode” costellato di espressioni che si equivalgono: “le mie labbra diranno la tua lode…ti voglio benedire…alzerò le mie mani…ti loderà la mia bocca…”.
Al desiderio ardente, subentra la lode incessante nella quale ogni credente trova la vera felicità.