Preservazione della fertilità con crio-conservazione della corteccia ovarica o vitrificazione degli ovociti, ringiovanimento ovarico e test genetici sempre più predittivi. Questo lo scenario che si apre in riferimento alla PMA, che vede la ricerca scientifica impegnata su diversi fronti con il duplice obiettivo di favorire la nascita di bambini sani e aumentare il tasso di successo per ogni ciclo di PMA, grazie a trattamenti sicuri che possano garantire minori complicanze possibili alla donna.
Tracciare e conoscere il cariotipo completo dell’embrione, utilizzare le cellule staminali nella creazione di gameti e per la rigenerazione dell’endometrio sono alcuni dei nodi nevralgici che saranno sciolti in futuro.
“Negli ultimi anni – sottolinea il Professor Antonio Pellicer, Presidente IVI – i progressi nel campo della fecondazione assistita hanno raggiunto risultati davvero sorprendenti e il futuro fa ben sperare. Noi di IVI da oltre 26 anni siamo impegnati in prima linea nella ricerca scientifica in collaborazione con enti universitari di primaria importanza come l’Università di Valencia e l’Università di Yale e attualmente siamo concentrati su diversi ambiti: dal ringiovanimento ovarico alla preservazione della fertilità fino allo studio sull’impiego delle cellule staminali nella medicina della riproduzione per rispondere sempre meglio alle problematiche delle nostre pazienti. Siamo inoltre molto attivi nell’ambito della ovodonazione per la quale abbiamo realizzato in Spagna la Banca Centrale di Ovociti più grande d’Europa che solo nel 2016 ha registrato 7.000 cicli di donazione”.
In Spagna le donatrici di IVI hanno un’età compresa tra i 18 ed i 35 anni, come da disposizioni legislative in materia e devono seguire un iter di controlli molto rigido. L’essere idonee alla donazione viene stabilito in una prima fase attraverso un’intervista personale e un colloquio con lo psicologo. Chi supera questo primo ‘screening’ viene sottoposto ad accertamenti clinici: ecografia, visita ginecologica ed esami del sangue. Solo il 30% delle candidate a essere ovodonatrice passa alla fase successiva, quella dei controlli sul cariotipo e il Test di Compatibilità Genetica (TCG) per verificare se siano presenti alterazioni cromosomiche che potrebbero portare a malattie genetiche nei nascituri.
Questo l’identikit dell’ovodonatrice di IVI al termine del processo: una ragazza tra i 25 e i 26 anni, per la metà con figli; un terzo studia all’università, un terzo frequenta il liceo, circa il 40% è sposata o convive.
Molte le donne italiane che si rivolgono a IVI per ricorrere alla fecondazione eterologa. Nonostante dal 2014 la legge consenta di ricorrere a questa tecnica nel nostro Paese, a causa della scarsità di donatrici di ovociti e per le procedure complicate di importazione dall’estero, le coppie sono ancora costrette a spostarsi dall’Italia.
Dal 2012 al 2016 i cicli di trattamento con ovodonazione a cui si sono sottoposte pazienti italiane presso i Centri IVI in Spagna sono stati più di 7.000 versus i quasi 3.000 per la fecondazione omologa che rappresenta, comunque, un numero importante.
Le coppie italiane arrivano ai Centri IVI in Spagna cariche di domande e dubbi soprattutto nel caso della donazione per la quale vogliono sapere chi è la donatrice, perché ha donato, se possono avere più informazioni, a quali controlli viene sottoposta. Un approccio molto diverso rispetto alle coppie scandinave, per esempio, che sono più dirette, pensano al risultato e hanno pochi dubbi.
Le pazienti italiane sanno che non è possibile incontrare la donatrice né sapere chi sia ma sembra addirittura che la cosa non dispiaccia: preferiscono avere informazioni attraverso il Centro, piuttosto che avere un contatto diretto.
Inoltre, per loro è importante capire perché in Spagna si dona e in Italia no.
Quali sono le caratteristiche della donatrice richieste più frequentemente dalle pazienti che contattano i centri IVI? La risposta a questa domanda cambia a seconda della nazionalità: le italiane chiedono che siano giovani, in salute, belle e simili a loro, specie per il colore degli occhi. Le inglesi si informano su educazione, intelligenza, caratteristiche fisiche (altezza) e livello di studi. Le francesi si preoccupano della taglia della donatrice, così come di educazione e intelligenza, requisiti richiesti anche dalle spagnole, cui si aggiungono doti artistiche, somiglianza e livello sociale.
“Le coppie si rivolgono a IVI – sottolinea la Dottoressa Daniela Galliano, Direttrice del Centro IVI di Roma – perché ne conoscono la competenza, il livello professionale e il tasso di successo dei trattamenti che è pari al 90%: 9 coppie su 10 che si sono rivolte all’Istituto Valenciano di Infertilità hanno realizzato il sogno di diventare genitori. Il 20% è rappresentato da donne di altra nazionalità; di queste, il 31% sono italiane, la più alta percentuale tra le straniere. Per il 10% circa si tratta di donne single o omosessuali, mentre il restante 90% è rappresentato da donne eterosessuali, con un’età che varia dai 37,53 anni per la fecondazione omologa ai 42,75 di chi si rivolge al Centro per i cicli di ovodonazione”.
Con oltre 26 anni di esperienza, 50.000 trattamenti ogni anno, 160.000 bambini nati, 2.000 professionisti e 70 cliniche in 13 Paesi, IVI, dopo la fusione con l’americana RMNJ, rappresenta la più grande realtà mondiale nel campo della Procreazione Medicalmente Assistita.