È di queste ore la notizia che tra il 2008 e il 2016 la pubblica amministrazione ha perso 220mila unità di lavoro. La stima – contenuta nell’appena pubblicato Rapporto "Il Mercato del Lavoro: verso una lettura integrata", realizzato da ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal – è stata associata, giustamente, al fatto che gli under 35 e gli over 50 sono ormai sempre più minacciati dallo spettro della disoccupazione. Tuttavia non contempla un dato fondamentale: la grande maggioranza di quei posti cancellati, quasi il 90%, riguarda la scuola, la quale a partire dal dimensionamento contenuto nella Legge 133 del 2008, firmata dall’allora Ministra dell’Istruzione Maria Stella Gelmini, si è vista spazzare via 4mila istituti scolastici e circa 200mila cattedre e unità lavorative Ata a supporto.
Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario organizzativo Confedir, si sofferma proprio su questo dato: “La Scuola pubblica italiana, quella che tutti i Governi vogliono rilanciare salvo poi trattarla sistematicamente come bancomat per salvare i conti in rosso, ha pagato il prezzo più caro della spending review attuata nell’ultimo decennio: si sono ridotte di un terzo le scuole autonome e con loro le segreterie scolastiche, si è tagliato il tempo scuola in tutti i corsi. Senza dimenticare che con la Legge 169 del 2008 è stato anche abbandonato il modulo e pure il maestro specialistico alla primaria, ma anche effettuate diverse sottili operazioni sull’organizzazione scolastica finalizzate al mero risparmio e senza alcuna ricaduta didattica. Con la conseguente progressiva generalizzazione e riduzione degli apprendimenti”.
Il problema è che agli occhi dell’opinione pubblica sono altri i dati che risaltano: quelli, in particolare, che tra il 2008 e il 2016 nella scuola si sono effettuate 25mila assunzioni; l’anno dopo se ne sono aggiunte 16mila; nel 2010 altre 16.500; nel triennio 2011-2013, furono assunti a tempo indeterminato 67mila docenti e Ata; seguirono, nel 2014, altre 18mila assunzioni; poi, con il piano straordinario della Buona Scuola, ne arrivarono altre 87mila (inizialmente dovevano essere 150mila); l’anno successivo, nel 2016, seguirono altre 32mila immissioni in ruolo. E, per finire, le ulteriori 52mila della scorsa estate.
“Sono dati oggettivi ma che vanno affiancati a quelli dei pensionamenti e dei tagli – continua il sindacalista autonomo – perché non basta dire che tra il 2008 e il 2016 sono stati assunti nella stessa scuola 314mila lavoratori. Chi conosce da vicino il comparto sa bene che tranne il potenziamento incluso nel piano straordinario della Legge 107/15, peraltro imposto dalle sentenze della curia europea sull’abuso di precariato in Italia, si è trattato di mero turn over. Perché altrimenti in organico non ci sarebbero oggi ancora quasi 100mila cattedre annuali, annualmente assegnate ai precari, e almeno 25mila posti liberi afferenti al personale Ata, anche questi destinati ad essere coperti con le supplenze annuali”.
“La verità – conclude il sindacalista Anief-Cisal- è che è stato un errore strategico gravissimo tagliare di un sesto gli organici del personale scolastico e di un quarto quello dei suoi dirigenti, più una bella fetta di formazione, con norme che avrebbero dovuto garantire il pareggio di bilancio ma che alla lunga hanno prodotto addirittura un incremento del debito pubblico”.