Rifiuti – Pace del Mela

“Sulle politiche dei rifiuti, in Sicilia, è arrivato il momento delle scelte: le ambiguità e le indecisioni dei governi precedenti sono tra la cause principali della permanente crisi del sistema; finché lo smaltimento dei rifiuti non verrà affrontato in modo programmato, legale e credibile, e privo di pregiudizi ideologici, si resterà nella permanente condizione di stato di emergenza.
Su un punto bisogna essere realisti, a proposito di raccolta differenziata: il tessuto infrastrutturale industriale della Sicilia non fa presagire, in tempi medio – brevi, la possibilità che i rifiuti possano essere riusati o riciclati come previsto dalle norme europee.
Se infatti, quand’anche la Sicilia riuscisse a raggiungere le inarrivabili percentuali previste per legge,il tessuto industriale regionale potrebbe riciclarne e riusarne quantità mediamente comprese tra il 15 e il 25 %, destinando allo smaltimento in discarica o al trasporto all’estero la restante parte.
Il sistema attuale è assolutamente folle: si spende molto per raccogliere e pubblicizzare la differenziata, e gran parte del rifiuto va comunque in discarica, alimentando un sistema non trasparentissimo (alla luce delle diverse indagini in corso) e inquinando, a macchia di leopardo, il territorio e le falde acquifere.
L’unica soluzione è quella dell’infrastrutturazione pubblico – privata con moderni sistemi di valorizzazione che consistono nella produzione di compost o di biogas dalla frazione organica e la termovalorizzazione per quanto concerne la frazione inorganica (plastica, vetro, metalli), della quota di rifiuto che non si riesca a riciclare.
L’unico “piano rifiuti”, attualmente esistente in Sicilia, validato dalle procedure di VAS nazionale, prevede la realizzazione diimpianti per la valorizzazione della frazione organica e questi possono realizzati immediatamente, in modo da iniziare a smaltire correttamente almeno questa parte di rifiuti.
Sul delicato tema dei termovalorizzatori, invece, bisogna uscire dalla sterile contrapposizione ideologica: gli impianti devono essere realizzati in aree industriali, ed è bene continuare a ribadirlo, sono impianti a impatto ambientale praticamente nullo, come dimostrato dalla loro diffusione in Europa e nel nord Italia. Città come Copenaghen, Vienna, Stoccolma, ma anche Brescia e altre in Italia, hanno uno o più impianti in zone assolutamente centrali e non esistono controindicazione di sorta. In Italia ci sono 44 termovalorizzatori attivi di cui solo 5 nel centro – sud: purtroppo è un dato di fatto incontrovertibile, l’assenza di impianti favorisce emergenza e malaffare. Aspetti che registriamo soprattutto al Sud.
In Sicilia sono necessari almeno due termovalorizzatori che nel più breve tempo possibile possano arrestare l’emergenza, trattando almeno 800.000 mc di rifiuti, poi, per portare il sistema a regime, bisognerebbe trovare il modo di valorizzare un altro milione di metri cubi.
E’ indubbio e comprensibile che il pregiudizio locale rimanga forte ed è alimentato da una generale sfiducia nelle capacità di gestione dello Stato, vista la scarsa attenzione che è stata posta nel passato alla crescita incontrollata, dal punto di vista ambientale, di poli industriali che si non dimostrati venefici per le aree circostanti.
Peròsarebbe fondamentale che gli amministratori locali nell’interesse delle proprie comunità, capissero che la strada da percorrere è quella della richiesta di garanzie e di benefit infrastrutturali e compensativiper il territorio.
Innanzi tutto sarebbe utile imporre fin da oggi, quindi fin da prima dell’inizio della loro costruzione, la realizzazione di una rete di monitoraggio della qualità dell’aria e dell’acqua,da affidare a entità terze, che permettesse di monitorare lo stato dell’ambiente, non solo in funzione del costruendo impianto, ma relativo all’intero carico inquinante presente nelle aree individuate.
In questo modo non solo si potrebbero controllare le immissioni del nuovo impianto (praticamente nulle), ma si potrebbe quantizzare il livello di inquinamento, causato da precedenti infrastrutture, permettendo così di richiedere uno specifico piano di riqualificazione ambientale basato su dati certi piuttosto che su percezioni e preconcetti.
L’implementazione della rete infrastrutturale dovrebbe poi riguardare il sistema viario a servizio del conferimento, che dovrebbe essere autonomo da quello esistente, in modo da non intasare un sistema già congestionato dall’uso corrente.
Infine, gli amministratori locali dovrebbero insistere per ottenere azioni compensative di tipo strutturale o fiscale che possano ricadere nel modo più diffuso su una fascia quanto più ampia possibile di popolazione locale.
In definitiva piuttosto che barricarsi dietro un “no a tutto”, assolutamente poco costruttivo e che rischia peraltro di essere superato dal riconoscimento dello stato di calamità e dalla necessità strategica dell’intervento, sarebbe utile cercare un confronto costruttivo al fine di ottenere il massimo dei benefici per il rilancio di un territorio da sempre alla ricerca di una rinascita.”