di ANDREA FILLORAMO
Ricevo la seguente email da xxxxxxx@virgilio.it : “La mia è una semplice considerazione che trasmetto a lei: Non passa giorno in cui Papa Francesco non inviti preti e vescovi ad abbandonare la loro mentalità rigida e aprirsi al nuovo ma nel clero non vedo nessun impegno per cambiare anzi fra loro c’è addirittura chi accusa il papa di eresia. Mi dia, per favore una sua opinione".
Conosco molti preti. La conoscenza di loro risale a molti anni addietro ma anche agli ultimi decenni, a quando, cioè, da laico, assieme ad altri “professionisti”, ho cercato di aiutarli nell’affrontare i loro problemi. Ho scoperto così angoli che difficilmente sono osservabili dall’esterno, Sono entrato, quindi, a tentoni nel loro mondo e ho notato nella maggioranza di loro una totale “chiusura di mentalità” che rifiuta riflessioni, idee o prospettive nuove, teologiche e pastorali.
Non sono pochi i preti che preferiscono restare comodi e rinchiusi negli obsoleti schemi mentali che non riescono o non vogliono mollare, anche perchè si rifiutano di aggiornare i loro studi che hanno abbandonato tanto tempo fa e considerano la cultura moderna, ma che loro amano chiamare “modernistica”, un pericolo per la fede.
Essi si rifanno così al modernismo teologico di fine ottocento che fu un’ampia e variegata corrente del Cattolicesimo, sviluppatasi all’inizio del Novecento, volta a ripensare il messaggio cristiano alla luce delle istanze della società di inizio del secolo.
Cerchiamo di capire: la rigidità mentale, in psicologia, è legata al concetto di “zona di comfort” una condizione mentale di comodità, in cui si cerca a tutti i costi di evitare l’ansia del cambiamento, limitando a ripetere sempre gli stessi comportamenti ed evitando ogni possibilità di rischio. Si tratta di quella condizione mentale in cui si è a proprio agio e ci si sente sicuri. Qui si possono anche ritrovare i punti di forza e le certezze. Ma, a volte, questo si trasforma in un meccanismo trappola, che blocca e non lascia progredire. Lo si ritrova anche nei piccoli cambiamenti, che si affrontano nella quotidianità e hanno a che fare con le vecchie e consolidate abitudini.
Cambierà questo modo di essere dei preti? Speriamo ma sicuramente occorre del tempo.
Che ci voglia ancora del tempo, credo che anche il Papa sia convinto. Egli, infatti, si guarda bene dall’eccedere nella richiesta dei cambiamenti, che dovrebbero essere tanti, al di là di quello che pensano o dicano alcuni tradizionalisti che giungono persino ad accusare il Papa di eresia.
Si abbia il coraggio di dirlo: i preti del futuro non avranno nessuna difficoltà a leggere la parola di Dio e di saperla interpretare andando al di là del linguaggio mitico; che troveranno la chiave per interpretare i dommi; che cancelleranno il devozionismo che soffoca la fede e che dà all’esterno l’immagine dei cattolici come se fossero politeisti; che per essere preti non si è più obbligati ad andare nei seminari; che i sacerdoti saranno scelti fra gli uomini e le donne sposati; che porranno nell’amore di Dio e del prossimo il fondamento di tutto ciò a cui crederanno. Fra di loro non ci saranno più pedofili, ladri e corrotti; che supereranno il disagio spesso profondo, fatto di solitudine, di isolamento, che li costringe all’incapacità; che non avranno paura di esprimere apertamente i propri pensieri. Siamo sicuri che la Chiesa ci sarà anche nel futuro ma sarà una Chiesa diversa, i cui pastori, superando l’atavico e comune tradizionalismo che è a metà tra quello dei creduloni e quello dei catastrofisti, ricerchino la comprensione delle verità di fede e scoprano il valore della parola di Dio.