di ANDREA FILLORAMO
Ci poniamo una domanda: “C’è continuità o discontinuità nella gestione degli incarichi da affidare ai preti, impressa dal nuovo arcivescovo, che in questi ultimi giorni, non rispettando la prassi, ha operato diversi trasferimenti in cui, in osservanza della linea pastorale di Papa Francesco, ha cercato, a mio parere, di eliminare con un sol colpo il carrierismo, dando quindi all’affidamento non più una dimensione verticale, ma una orizzontale?”. Ha Inviato, infatti, nelle Isole Eolie (qualcuno dice al confino) alcuni ritenuti “pezzi da novanta”, e ha promosso preti che qualcuno riteneva destinati a bassi livelli gerarchici.
A mio giudizio, la domanda non è neppure da porsi. Il successo della pastorale diocesana dipende, Infatti, dalla capacità di attuare i cambiamenti necessari per far fronte, possibilmente anticipandola, all’evoluzione del contesto. La Chiesa – lo sappiamo – si presenta ricca di cambiamenti rapidi e difficilmente prevedibili e le diocesi devono attivare nuovi, efficaci e rapidi sistemi di feed-back.
Ciò che in passato era l’eccezione oggi diventa il quotidiano, obbligando i vescovi a cambiare il modo di operare anche nella scelta dei loro collaboratori. Il cambiamento, quindi, diventa la condizione “sine qua non” per la sopravvivenza.
Questo fenomeno introdotto nella sua diocesi da Mons. Accolla distrugge la maggior parte dei paradigmi, delle barriere e dei vantaggi costruiti negli anni addietro, di cui si sono avvantaggiati alcuni. Nessuno dimentica che il suo predecessore, alla vigilia delle sue dimissioni, promosse in parrocchie di prestigio, legittimamente o illegittimamente non lo sappiamo, alcuni suoi amici, che forse oggi temono che la “discrezionalità” del nuovo arcivescovo possa nuocere alla loro presunta “amovibilità”.
E’ fondamentale che i preti abbiano un approccio al cambiamento propositivo; in altre parole deve essere affrontato come un’occasione di crescita, un’opportunità, spesso unica, per dar l’avvio a tutti gli altri cambiamenti che sicuramente non mancheranno.
Naturalmente, deve nascere una nuova mentalità nei preti attraverso un processo educativo complesso che richiede uno sforzo continuo e non semplice da realizzare; infatti, si devono superare ostacoli come il totale rifiuto, l’ironia e il cinismo o un’accettazione meramente di facciata, la gelosia e l’invidia, il pettegolezzo.
Essi devono tener conto che l’organizzazione di una diocesi si evolve verso una struttura flessibile, i preti non sono dipendenti ma collaboratori, sono stati ordinati per la diocesi in cui sono incardinati e dove esercitano, su mandato del vescovo, il ministero.