di ANDREA FILLORAMO
Il gioco delle carte è amato da moltissime persone. Con le carte si possono fare anche giochi di logica e di strategia e, in questo caso, può rivelarsi un’attività da condividere con gli altri. Per mischiare bene le carte a volte occorre grande maestria.
Mi perdoni l’arcivescovo di Messina la banalità contenuta nel paragone da me pensato fra il gioco delle carte e il mischiare le carte con le ultime operazioni da lui condotte nell’individuare e nello spostare dei preti da una parrocchia all’altra e da un servizio all’altro che ha provocato, come era prevedibile, qualche isolato malumore.
In un presbiterio, da me più volte definito come frammentato, frastornato e confuso per gli avvenimenti accaduti nel decennio già trascorso, è possibile che alcuni dei suoi componenti possano aver dimenticato o abbiano voluto dimenticare di essere stati ordinati non per sé ma per la diocesi in cui sono stati incardinati e che, quindi, i malumori possano aumentare non appena il progetto pastorale che ha in mente il nuovo arcivescovo, che non può non ispirarsi a Papa Francesco, sarà totalmente implementato.
Il Papa in modo accorato, infatti, dice: ”Basta con i preti ammalati di clericalismo, con quelli attaccati ai soldi, con i preti che maltrattano la gente……basta con i carrieristi!”.
A questo appello del Papa, non è difficile aggiungere: “Basta con i preti ‘devozionisti’ e ‘ritualisti’, che attingono più dalla superstizione che dal Vangelo, sostenitori di una religione sentimentale, che si nasconde dietro le icone ieratiche della Madonna e dei Santi”, che dimentica l’uomo e in cui fanno consistere tutto il loro impegno pseudo-pastorale.
Occorre necessariamente insistere sul fatto che il presente e il futuro della Chiesa sta nelle mani di quei preti che sanno stare in mezzo alle persone, al loro gregge, vicini alle famiglie, a chi soffre, a chi ha bisogno di aiuto, agli educatori, a quelli che sanno “sporcarsi” con la realtà e sono capaci di condividere con gli altri e di collaborare fra di loro.
Questo è il modello di prete che molti sacerdoti giovani, immediatamente dopo il Concilio, proponevano ma l’ignavia delle curie, l’ignoranza dei decreti conciliari e l’ostilità ai cambiamenti hanno aperto la stura ai tanti fuorusciti dal ministero e alcuni anche dalla chiesa, che ancora si porta il peso di queste vocazioni tradite.
Questo è il modello di prete che da tempo papa Francesco sta riproponendo, attraverso tanti interventi ‘informali’ durante le famose omelie mattutine delle messe celebrate a Santa Marta, e attraverso messaggi ufficiali. Egli sta provando a dare una risposta alla crisi profonda della fede coniugando un’idea di Chiesa popolare, “ospedale di campo” e non barocca con l’identikit del pastore che deve annunciare il Vangelo. Aggiunge il Papa: “Non servono preti clericali, il cui comportamento rischia di allontanare la gente dal Signore, né preti funzionari che, mentre svolgono un ruolo, cercano lontano da Lui la propria consolazione”.
Non servono neppure, io aggiungo: i molti preti–monsignori, che sono all’apice della loro carriera diocesana e ciò o per antichi privilegi o per nomina pontificia spesso richiesta dai vescovi residenziali, a pagamento, per premiare i più “ fedeli”.
Essi temono di perdere il titolo a lungo sognato e poi raggiunto “per grazia ricevuta”. Essi sanno con estrema chiarezza che già Papa Francesco ha abolito il titolo di Monsignore per i sacerdoti sotto i 65 anni e potrebbe abolirlo per tutti. Sarebbe questa una piccola grande doccia fredda per quei numerosi monsignori che da una vita abbastanza plumbea, di sacrifici fisici e morali e di astinenze e astensioni (!???!! ) dovrebbero rinunciare a tutte le insegne, all’abito corale dei canonici, cioè ai bordi e alla fodera cremisi della mozzetta paonazza con occhielli, abiti che indicano separatezza, diversità, che rende titolato il carrierismo che a voce loro stessi condannano.
Se ciò dovesse avvenire, non resterebbe altro da dire se non: “sic transit gloria mundi”.
Diventare preti non è dunque, secondo l’impostazione di Bergoglio, una professione o un titolo, la sua missione si realizza sì attraverso strumenti sociali o caritativi, ma nell’ottica forte del Vangelo, di una fede che guida profeticamente tutto il popolo di Dio, pastori compresi. Quindi l’adesione alla parola di Gesù, il suo stare vicino agli ultimi, ai poveri, deve diventare centrale nella vita del sacerdote che è fatta anche di spiritualità, di preghiera.
Ricordiamo, infine, che Papa Francesco ha denunciato pubblicamente quei preti che chiedono soldi in cambio dei sacramenti, di un matrimonio, di un battesimo e così via.
“Quante volte – ha detto – vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa? E il popolo si scandalizza, poiché in queste forme si compie lo scandalo del commercio, della mondanità".
Quindi, cogliendo un elemento estremo di verità nel rapporto fra i fedeli e la Chiesa, Bergoglio afferma: “il popolo di Dio sa perdonare i suoi preti quando hanno una debolezza, quando scivolano su un peccato. Ma ci sono due cose che il popolo di Dio non può perdonare: un prete attaccato ai soldi e un prete che maltratta la gente!”.