di Ettore Sentimentale
Dopo aver riflettuto – grazie al brano di Ger 35,15-17 – sul dolore delle madri, vorrei proporre un’altra meditazione prendendo in prestito ancora un brano di Geremia (2,11-13) ove il profeta si scaglia contro l’idolatria del popolo d’Israele. Questa scelta mi sembra opportuna perché strettamente collegata al periodo della quaresima – ormai prossima – che in ogni ciclo si apre con la pagina programmatica delle tentazioni, ponendo i cristiani di fronte a una scelta radicale: essere o avere. Lo trascrivo in una versione più letterale.
Ha mai una nazione cambiato dei? / E quelli non sono neppure dei! Invece il mio popolo ha cambiato la sua Gloria / con chi non giova a nulla.
Stupite di tali cose, cieli,/inorridite(ne) molto – oracolo di YHWH.
Due misfatti ha commesso il mio popolo: / ha abbandonato me, sorgente d’acqua viva, /per scavarsi delle cisterne, cisterne fessurate / che non trattengono acqua.
Prima di addentrarmi nel contesto immediato e quindi nel commento, segnalo subito una indicazione bibliografica. Si tratta del prezioso libretto di L. MONARI, Sulla stupidità dell’idolatria – Meditazione su Geremia 2, Morcelliana, Brescia 2014. È veramente una chicca, prodotta da un esperto biblista oltre che vescovo emerito di Brescia.
Il testo in esame presuppone un contendere fra Dio e il suo popolo, di cui il profeta si fa interprete. Il motivo di quello che potrebbe essere un “dibattimento giudiziale” è costituito dalle accuse di idolatria da parte di Jahweh, perché gli israeliti hanno abbandonato gli “obblighi” derivanti dall’alleanza. Il culmine di questa “requisitoria” si ha nel v. 11, ove il termine “Gloria” indica Dio stesso, designa ciò che Egli compie e fa sulla base di ciò che Egli è. Tutto questo non può non avere una certa ricaduta, un certo “peso” (significato letterale di “Gloria”) nella vita degli uomini. Proprio qui si fonda la differenza con gli altri dei, che non possono nulla perché semplicemente non sono.
Il salmo 115, 4-8 con sottile ironia rende plasticamente il contrasto fra il “Dio d’Israele” e gli dei degli uomini: “I loro idoli sono argento ed oro, opera di mano d’uomo. /Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, / hanno orecchi e non odono, hanno naso e non odorano, /hanno mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, la loro gola non rende alcun suono. /Come loro sian quelli che li fanno, tutti quelli che in essi confidano”.
L’insensatezza del popolo culmina in una metafora che per l’uomo mediorientale è molto eloquente. In un contesto ambientale in cui l’acqua è il bene più prezioso per la sopravvivenza, il popolo preferisce scavare cisterne che non trattengono acqua piuttosto che attingere alla fonte zampillante di acqua viva…Fuori metafora: gli israeliti hanno preferito coloro che portano solo morte e distruzione (gli idoli) a colui che è la fonte della vita.
Perché il profeta è sprezzante in questo passaggio? Perché le divinità adorate dal popolo (idoli), evocano il senso di identità. Geremia, a nome e per conto del Signore, si chiede: qual è l’identità del popolo d’Israele, così piccolo eppure stimato e famoso nel Medioriente per essere il “popolo del Signore”? Come ha fatto questo popolo dalla “dura cervìce” a disprezzare e dimenticare il vincolo dell’alleanza e a calpestare il macarismo di cui parla il salmo 144: “Beato il polo il cui Dio è il Signore”? Bisogna essere veramente stupidi (da qui il titolo del libretto summenzionato) ad abbandonare l’acqua fresca e pulita della sorgente e scegliere quella stagnante, limacciosa e lurida della “cisterna fessurata”. Lo scandalo maggiore, come annota mons. Monari, è costituito dal contrasto fra il dono di Dio (acqua sorgiva) e la cisterna scavata (fatta dalle mani dell’uomo), opera questa che rimanda agli idoli “fatti dalle mani degli uomini” a differenza di Dio e dei suoi doni che non si possono manipolare.
Per attualizzare il nostro messaggio non possiamo fare a meno di citare le intuizioni del grande filosofo Francis Bacon in cui lo stesso presenta la teoria degli “idoli”. Mi soffermo un attimo solo sul primo raggruppamento, gli “idolatribus”, ossia i pregiudizi della specie umana.
Qui il discorso rischia di allargarsi all’infinito. Pensiamo per un attimo a tutto il capitolo che riguarda gli stranieri, soprattutto immigrati dai paesi del terzo mondo che disperatamente giungono sulle nostre coste. Assieme all’accoglienza di gente semplice e generosa, trovano il rifiuto e l’ostilità di tanti, ammalati di razzismo, parecchi dei quali siedono sugli scranni del nostro parlamento o addirittura sono “uomini di Chiesa” che temono di essere “islamizzati”.
Forse non risalta subito ai nostri occhi, ma anche Gesù fu vittima di certi pregiudizi ambientali, quasi razziali, allorché nel vangelo leggiamo: “Da Nazareth, può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46).
Oggi, e il discorso non è generico, assistiamo alla creazione e al consumo di tanti idoli: potere mediatico, successo, denaro, criminalità, violenza…tutto questo perché?
Scriveva Giovanni Paolo II nel 2004: “Se noi fossimo più consapevoli della nostra caducità e del limite proprio delle creature, non sceglieremmo la via della fiducia negli idoli, né organizzeremmo la nostra vita su una scala di pseudo-valori fragili e inconsistenti”.
Su chi poniamo la fiducia? Sui maghi, sull’oroscopo, sul superenalotto, sul consumismo…? Tutto questo è acqua che non disseta, anzi è un fiume inquinato dagli scarti della produzione economica su scala mondiale… o se preferite un’altra immagine, è fumo narcotizzante che abbassa le nostre difese “immunitarie” e la nostra responsabilità.
Approfittiamo della Quaresima, “primavera dello spirito”, per svegliarci dal torpore invernale e anelare i corsi d’acqua viva.