Le buone intenzioni del Miur sulla ricostruzione di carriera non hanno prodotto i risultati attesi: secondo le informazioni della stampa specializzata, appena il 10% dei dirigenti ha emesso i decreti di ricostruzione da inviare alla competente Ragioneria Territoriale dello Stato per l’apposizione del visto e l’accelerazione di un iter che in alcune province continua ad avere una durata media di attesa superiore al quinquennio, a causa dell’alto numero di pratiche rispetto all’irrisoria quantità di impiegati delle Direzioni Provinciali del Tesoro. Eppure, scrive Italia Oggi, l’art. 1, comma 209, della legge 13 luglio 2015, n. 107 e i chiarimenti e le indicazioni operative contenuti in alcune note ministeriali emanate nel mese di settembre 2017, in particolare la Nota Miur 17030, indicavano quella di oggi come ultima giornata utile per l’amministrazione per fornire una risposta al personale della scuola che ha superato l’anno di prova e presentato regolare domanda di ricostruzione di carriera entro il 31 dicembre scorso.
Questo significa che il 90% del personale docente a Ata interessato si ritroverà nella stessa condizione in cui era prima: quella di attendere tempi “biblici”, prima di vedersi riconoscere il compenso adeguato al servizio svolto, con l’inquadramento del dipendente nel corretto scaglione stipendiale in base ai servizi prestati prima dell’immissione in ruolo. Vengono così meno gli annunciati effetti positivi della procedura telematica, da espletare tramite il portale Miur ‘Istanze On Line’ e la presa in carica dalla scuola di titolarità o di incarico triennale del dipendente, riservata al personale a tempo indeterminato nella scuola pubblica che ha superato l’anno di prova.
Cosa accadrà ora? Risponde Orizzonte Scuola: “Considerato che la ricostruzione di carriera serve al corretto inquadramento nella fascia stipendiale del personale interessato, sulla base della valutazione del servizio pre-ruolo, la mancata emissione del decreto di ricostruzione non permette al predetto personale l’eventuale progressione stipendiale spettante”. Ed il personale costretto ad attendere è quello già confermato in ruolo che ha svolto qualsiasi servizio utile (almeno 180 giorni per anno scolastico o servizio continuativo dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale) o altro servizio comunque riconoscibile ai fini della carriera svolto antecedentemente alla nomina a tempo indeterminato.
“Le avvisaglie per un epilogo del genere – spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – le avevamo avute qualche settimana fa, quando il Miur comunicò la possibilità di presentare ancora domanda attraverso le vie tradizionali, quindi lo strumento cartaceo. Ora ne abbiamo la certezza: la legge è stata fatta, ma della sua attuazione non c’è traccia. Come continua a fare scalpore la possibilità di conteggiare per intero solo i primi 4 anni di pre-ruolo, mentre gli eventuali ulteriori servizi, svolti sempre come supplente, sono utili ai fini del computo soltanto per due terzi. Significa che ad un precario con 13 anni di servizio pre-ruolo vengono riconosciuti solo i primi 4 e 6 dei rimanenti 9, per un totale di 9 anni. Così come un’altra ingiustizia che si perpetua è quella di non riconoscere gli anni di servizio svolti negli istituti paritari”.
“Ma siccome sono svariate le sentenze, anche recenti, che indicano il servizio a tempo determinato alla stregua di quello svolto dal personale di ruolo o in scuole con la stessa valenza giuridica – continua Pacifico –, insistiamo nel chiedere a tutto il personale danneggiato di presentare domanda di ricostruzione di carriera indicando tutto il servizio utile, compreso quello svolto nelle scuole paritarie per il quale l’associazione sindacale autonoma ha promosso uno specifico ricorso. Siamo convinti delle nostre ragione, anche perché abbiamo ottenuto successo ai fini dell’attribuzione di punteggio per la mobilità e abbiamo ricevuto pronunce anche sulla valutabilità di tali esperienze ai fini della carriera”.
“Non esistono servizi di serie A o di serie B; esistono attività lavorative che hanno incrementato l’esperienza del lavoratore e che devono correttamente essere riconosciute ai fini delle progressioni di carriera senza alcuna discriminazione. Inoltre, è assurdo – conclude il presidente Anief – che l’Italia ancora continui a calpestare la Direttiva Comunitaria 1999/70/CE”.