L’attuale pandemia mondiale da Covid19 corre il rischio di distrarre l’attenzione da altre patologie infettive ancora molto rilevanti come la malaria. Ecco perché il prossimo 25 aprile, in cui si celebra la Giornata Mondiale contro la malaria, indetta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, riporta l’attenzione su un tema ormai lontano dalla storia italiana (tranne pochi sporadici casi all’anno) ma molto importante.
Secondo il report annuale dell’OMS nel 2019 ci sono stati 229 milioni di casi di malaria in tutto il mondo, localizzati in particolar modo (94%) nel continente africano. Ciò che colpisce è il fatto che il maggior numero di vittime riguarda bambini di età inferiore ai 5 anni (274000 casi ovvero il 67% dei decessi annuali per malaria). Nonostante sia ormai pienamente chiarito che è la zanzara il vettore responsabile della trasmissione della malattia, restano ancora da implementare molte strategie di protezione che permetterebbero una riduzione dell’incidenza della malattia. Fra queste ricordiamo le reti trattate con insetticida (ITN) che al momento riescono a proteggere il 46% delle persone a rischio in Africa e la cui distribuzione è stata rallentata dal diffondersi del Covid19. Accanto ai tradizionali ed efficaci farmaci antimalarici, da qualche anno è disponibile un vaccino che riduce in maniera significativa il rischio di contrarre la malattia: l’RTS, S.
L’obiettivo dell’OMS è quello di ridurre il tasso di mortalità della malaria di almeno il 90% entro il 2030. Tuttavia la pandemia da Covid19 sta rallentando l’implementazione di questo programma, rendendo più difficile l’accesso ai farmaci antimalarici.
La Chiesa Cattolica è da sempre direttamente impegnata nel contrasto alla malaria e nella cura dei pazienti affetti da tale patologia; in particolare la Caritas nel 2018 ha firmato una lettera di intenti con il Global Fund per combattere Aids, tubercolosi e malaria. Attraverso tale fondo globale le istituzioni sanitarie cattoliche (ospedali, dispensari…) hanno potuto distribuire reti insetticide da porre sulle culle a 70 milioni di persone in Nigeria e hanno somministrato vaccini anti-malaria a 6,5 milioni di bambini in quattro nazioni della regione del Sahel.
La voce della Chiesa contribuisce anche a sottolineare con forza lo stretto legame che intercorre fra povertà e malattie infettive: Hiv/Aids, tubercolosi e malaria. Si rende necessaria una presa di coscienza mondiale che riporti al centro dell’attenzione la cura delle popolazioni più povere e dei soggetti più fragili. Papa Francesco ha più volte auspicato, una sorta di “internazionalismo della carità” che favorisca la condivisione delle risorse sanitarie con i Paesi più poveri. Nella Nuova Carta degli Operatori Sanitari è scritto, al riguardo, che «il diritto fondamentale alla tutela della salute attiene al valore della giustizia, secondo il quale non ci sono distinzioni di popoli e nazioni, tenuto conto delle oggettive situazioni di vita e di sviluppo dei medesimi, nel perseguimento del bene comune, che è contemporaneamente bene di tutti e di ciascuno» (n. 141).
Anche nello specifico caso della malaria il valore della giustizia rende auspicabile l’equa distribuzione delle strutture sanitarie e delle risorse finanziarie secondo i noti principi cattolici di solidarietà e sussidiarietà, interpellando perciò i professionisti sanitari e chi si preoccupa della programmazione. Per noi cristiani occidentali la malaria non è un problema marginale o secondario, ma centrale e decisivo proprio perché coinvolge direttamente i più poveri fra i poveri. E il malato povero, come più volte ha affermato il Santo Padre, è “carne di Cristo”, sacramento del suo corpo crocifisso, presenza trasparente del Signore in mezzo a noi.