Presidente dell’Associazione Lombarda dei giornalisti, firma di punta del Corriere della Sera, giovane padre di famiglia, fu ucciso il 28 maggio 1980, a 33 anni, da un gruppo terroristico di estrema sinistra. Il ricordo del collega e amico Marco Volpati.
di Marco Volpati
Se quel 28 maggio del 1980 Walter Tobagi fosse sfuggito all’imboscata dei suoi giovani assassini, oggi avrebbe 76 anni. Un’età da pensionati, anche se non si riesce ad immaginare “in quiescenza” uno spirito così vivace, un’intelligenza tanto fertile. Chi gli è stato collega, amico e compagno di lotte politico-sindacali fa fatica a rendersi conto che tra i giornalisti milanesi e lombardi non sono molti quelli che hanno avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo.
Sul terrorismo violento e omicida si è ormai detto tutto o quasi; anche se attorno a tante vicende tragiche, tra cui quelle di Tobagi e di Moro, restano punti oscuri su cui alcuni ostinati e coraggiosi tra giornalisti, magistrati e politici continuano virtuosamente a indagare.
Il gruppo di giovani aspiranti brigatisti colpì un inviato di prestigio, che all’età di 33 anni firmava in prima pagina sul Corriere della Sera, e contemporaneamente era presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, il sindacato di categoria: nel volantino di rivendicazione del delitto questa qualifica è sottolineata.
Un giovane uomo, padre di famiglia, che conduce un’esistenza intensissima: lavora al giornale, guida il sindacato della stampa, conduce studi di storia contemporanea e pubblica saggi.
Tobagi sa studiare, apprendere, approfondire, capire la realtà e condividere con i lettori le sue ricerche. Fin da ragazzo si esercitava nel giornale studentesco del Liceo Parini, e poi, ancora studente, scriveva su periodici specializzati di calcio e sport invernali. Discipline fisiche che lui non praticava, ma che sapeva seguire come eventi agonistici.
Poi crebbero la passione per la storia, il costume, le cronache politiche e sindacali, fino ai fatti del terrorismo che dominavano in quegli anni. Lo faceva con scrupolo, profondità, coraggio, attenzione a tutti i soggetti. A condannarlo, mettendolo nel mirino dei suoi assassini, è stata sicuramente la sua disposizione a voler vedere e ascoltare da vicino anche gli estremisti più accaniti, anche i simpatizzanti dei terroristi.
Il tratto eccezionale di Walter era la generosità: un giovane inviato del principale quotidiano italiano accetta di fare il sindacalista, e consuma giorni e notti a beneficio dei colleghi, per conquistare per tutti loro condizioni migliori di lavoro e di vita. Ha uno straordinario successo professionale, ma non si sottrae all’impegno civile.
In questi tempi di individualismo e competitività esasperati, è davvero il caso di coltivare la memoria e lo studio della sua opera, dei suoi scritti, delle riflessioni profonde e attuali sulle responsabilità e i doveri che porta con sé il mestiere di giornalista.