Nell’ultimo anno l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nelle trattative per la firma del Memorandum tra l’Unione europea e la Tunisia e ha ampiamente finanziato le politiche di blocco della migrazione. La visita ufficiale di questa mattina della Premier Meloni a Tunisi è una conferma del rafforzamento delle relazioni bilaterali tra i due paesi, nonostante la deriva autoritaria del governo tunisino, che dal febbraio 2023 ha perseguito una politica apertamente razzista e repressiva contro le persone migranti.
Nell’ambito di questa collaborazione, a dicembre 2023 il Ministero dell’Interno italiano ha stanziato 4.800.000 euro per la rimessa in efficienza e il trasferimento di 6 motovedette alla Garde Nationale (G.N.) tunisina, replicando un modello già adottato in Libia. Tale finanziamento è stato oggetto di contestazione da ASGI, ARCI, ActionAid, Mediterranea Saving Humans, Spazi Circolari e Le Carbet, che lo hanno impugnato con istanza cautelare di fronte al TAR del Lazio. L’udienza è fissata per il prossimo 30 aprile.
Le associazioni ricorrenti ritengono infatti che il sostegno alla G.N. tunisina aumenti il rischio di violazione dei diritti fondamentali e dell’obbligo di “non respingimento” delle persone migranti e sia illegittimo sotto diversi aspetti. In particolare, il finanziamento violerebbe la normativa nazionale che vieta di finanziare e trasferire armamenti a Paesi terzi responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Il trasferimento stesso delle motovedette è decretato senza alcun coinvolgimento del Ministero degli Esteri e del Ministero della Difesa e dei plurimi organismi consultivi e di controllo che hanno un ruolo fondamentale nei complessi meccanismi procedurali di programmazione, verifica e autorizzazione stabiliti dalla l. 185/1990 con la finalità di monitorare il flusso di movimento di materiali d’armamento dentro e fuori l’UE.
Inoltre, la G.N. tunisina è risultata responsabile di documentate violazioni dei diritti umani durante le violente intercettazioni in mare e dopo lo sbarco in Tunisia, paese che quindi non può essere considerato un “paese sicuro” per i parametri della convenzione SAR. Gli abusi commessi dalle autorità tunisine nei confronti delle persone migranti sono ampiamente documentati da varie organizzazioni internazionali e dalle stesse Nazioni Unite. Numerose testimonianze e rapporti denunciano i metodi violenti di intervento in mare della G.N. tunisina: manovre pericolose volte a bloccare le imbarcazioni che in alcune occasioni hanno provocato naufragi e persino la morte delle persone migranti, uso di pistole e bastoni per minacciare le persone a bordo, furto dei motori delle imbarcazioni che vengono poi lasciate alla deriva e altre pratiche estremamente pericolose. In molte occasioni, le persone intercettate in mare e ricondotte a terra sono state direttamente e illegalmente deportate verso le zone al confine con la Libia e l’Algeria, dove in decine hanno perso la vita dopo essere state abbandonate nel deserto.
Risulta quindi evidente che i mezzi forniti alle autorità tunisine sono costantemente utilizzati in atti che violano apertamente i diritti umani delle persone migranti in mare, anziché contribuire a iniziative umanitarie. Pertanto, il ricorso – presentato da un pool di avvocate composto da Luce Bonzano, Maria Teresa Brocchetto, Giulia Crescini, Giulia Vicini, Carmela Maria Cordaro, Cristina Laura Cecchini, Lucia Gennari, Loredana Leo, Nicola Datena, Maria Pia Cecere, Miriam Fagnani – chiede la sospensione immediata dell’accordo in attesa dell’esame della causa.