"Alla fine ha capito e si è arreso prima che glielo chiedesse il presidente del Consiglio. Carlo Malinconico – ricorda La Stampa – si è reso conto di essere spacciato alle 8 del mattino: letti i giornali e passati al setaccio articoli così numerosi e così penetranti sulla sua vita ‘professionale’ e sulle sue vacanze, il sottosegretario all’Editoria ha capito che non gli restavano molte chances. Raccontano che alle 9 si sarebbe consultato con Gianni Letta, il suo ‘capocordata’, e con Antonio Catricalà, ma quel che è certo è che, sin dai primi contatti, Malinconico ha appreso la notizia essenziale; Monti era estremamente irritato e dunque avrebbe chiesto al sottosegretario, sia pure per le vie informali, di dimettersi. In questa vicenda Monti non ha consultato collaboratori e consiglieri e men che mai il Quirinale: ha deciso da solo la linea dura e ha valutato che il segnale andasse lanciato a caldo, senza lasciar passare altro tempo.
A quel punto i residui dubbi del sottosegretario si sono dissolti e alle 9,30 Malinconico ha deciso da solo e in via definitiva: ‘Fate sapere al presidente Monti che alle 11 vado a dimettermi a Palazzo Chigi’. Una decisione che il presidente del Consiglio ha apprezzato: ‘Un governo come questo non puo’ permettersi ombre’, ‘serviva dare subito un segnale’. E Malinconico e’ stato di parola. Quando ha varcato la porta del presidente del Consiglio era stato tutto gia’ deciso e l’incontro, che si e’ svolto senza tensioni, e’ servito a perfezionare le modalita’ dell’addio. Naturalmente Malinconico ci ha tenuto a ribadire di ‘non aver fatto favori a nessuno’, di non aver commesso reati e ha dato una mano alla stesura del comunicato col quale si sarebbe data notizia delle sue dimissioni. Certo, nelle ore precedenti, oltre a provare a discolparsi (con un comunicato rivelatosi poi un boomerang e con un originalissimo pagamento postumo all’hotel Pellicano), Malinconico aveva tentato di ‘tenere’,soprattutto facendo circolare un argomento: attenzione a non sottovalutare il siluro lanciato contro di me, perche’ il messaggio e’ indirizzato anche verso il presidente del Consiglio. Certo, per Malinconico questa e’ stata l’ultima trincea, peraltro una trincea usata e abusata da tanti politici in difficolta’. Ma si tratta di un dilemma che, a prescindere dal caso specifico, nelle ultime 48 ore pare che abbia sfiorato pure Monti: quali e quante rappresaglie si preparano contro il suo governo, un governo che sta toccando rendite e privilegi intoccabili da decenni? Ma sul caso-Malinconico, il presidente del Consiglio non ha mai avuto dubbi: senza un chiarimento, non c’erano che le dimissioni. Anche perche’ – questo e’ il ragionamento di Monti – un governo rigoroso come il suo non puo’ permettersi smagliature.
Da questo punto di vista restano oscuri i motivi che hanno consentito l’ingresso nel governo di un personaggio protagonista di una vicenda opaca, che era conosciuta da quasi due anni, considerando che un articolo venne pubblicato da ‘Libero’ nel febbraio del 2010. Una vicenda che ha inizio negli anni nei quali governava il centrosinistra. Perche’ l’ingresso in ‘politica’ di Carlo Malinconico si deve a Romano Prodi. Nel 2006, appena tornato a Palazzo Chigi, il Professore avvia una serie di sondaggi per scegliersi il ‘suo’ Segretario generale. Alla fine restano in corsa in due: Alessandro Paino, suggerito da Arturo Parisi che ne ricordava l’efficace collaborazione ai tempi del Prodi-1 quando era stato per l’appunto Segretario generale alla Presidenza del Consiglio. E Carlo Malinconico, suggerito da Giulio Santagata. Alla fine la bilancia pende verso Malinconico, ma come talora accadeva nel mondo prodiano, per una somma di casualita’: in quel caso, tra l’altro, la preferenza espressa da Paino di trascorrere a casa, in Sicilia, i fine settimana. Ma con la caduta del governo Prodi, Malinconico si ‘ricolloca’ e anche se entra nel mondo dell’editoria, entra in sintonia col giro politico che da qualche anno si era collocato al confine tra ‘cricca’ e Pdl. Quando si forma il governo Monti, giocano a favore di Malinconico la sua competenza giuridica, le sue conoscenze dei problemi dell’editoria, la sensazione che l’ombra di due anni prima si sia dissipata. Ma anche il debito politico da pagare al grande escluso dal governo Monti: Gianni Letta".