"A sorpresa il governo si prepara a intervenire per decreto sull`articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La novità è nella bozza del pacchetto liberalizzazioni, il decreto legge che Mario Monti ha promesso di varare entro il 20 gennaio, affidato al sottosegretario Antonio Catricalà. L`articolo 3 del decreto, che il Fatto Quotidiano ha potuto consultare – scrive Stefano Feltri a pagina 1 del quotidiano diretto da Antonio Padellaro – si intitola: "Sviluppo delle imprese e flessibilità del lavoro. E interviene esplicitamente sull’art. 18 della legge 20 maggio del 1970 n. 300. Il decreto del governo Monti aggiunge un comma "1 bis. In caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano alle proprie dipendenze alla data del 31 gennaio 2012 un numero di prestatori d`opera pari o inferiore a quindici, il numero dei prestatori di cui al comma precedente è elevato a cinquanta". E il promo comma dell’articolo 18 versione 1970 è quello che impone al datore di lavoro che ha licenziato senza giusta causa (stabilita da un tribunale) di reintegrare i dipendenti se la sua azienda ha fino a 15 dipendenti. Da decenni l’articolo 18 e’ indicato da molti economisti e politici come una delle cause del nanismo delle imprese italiane: visto che fino a 15 dipendenti ci sono meno ostacoli a licenziare i dipendenti e soprattutto non si rischia di vederseli reintegrare in azienda da un giudice, meglio rimanere piccoli. Il governo Monti agisce quindi con questa premessa: se imprese piccole si aggregano e il numero di dipendenti sale, per la fusione, non scatta comunque l`obbligo di reintegro fino a 50 dipendenti. Un approccio pragmatico che non tiene pero’ conto della delicatezza politica del tema. Proprio in questi giorni il ministro del Welfare Elsa Fornero sta conducendo incontri con tutte le parti sociali per discutere come riformare il mercato del lavoro. Ma di articolo 18 non si e’ mai parlato esplicitamente, anzi, tutti i protagonisti, inclusa la Confindustria, si sono premurati di ribadire come non fosse il tabu’ dell`articolo 18 al centro dei negoziati. Secondo quanto risulta al Fatto, le parti sociali non sono state informate del contenuto del decreto, con la parziale eccezione di Confindustria. Il testo e’ stato preparato a palazzo Chigi, affidato al sottosegretario alla presidenza Catricala’, e non sarebbe ancora neppure arrivato sulla scrivania del ministro Fornero. Che non sara’ felicissima di vedersi scavalcata. LE 31 PAGINE della bozza del decreto saranno una lettura interessante anche per molti altri, a cominciare dal segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani. Che avra’ un doppio problema: l`articolo 18, che costringera’ il Pd all`ennesima conta proprio sul tema piu’ delicato, e i servizi pubblici locali. L`articolo 19 del decreto causera’ qualche sincope nella parte sinistra della maggioranza di governo: "Privatizzazione dei servizi pubblici locali". L`articolo attribuisce ai Comuni la "facolta’" di cedere le proprie quote nelle societa’ ex-municipalizzate che gestiscono i servizi pubblici locali, previa gara e procedura trasparente. Potevano farlo gia’ adesso, per la verita’, e infatti la novita’ e’ nelle condizioni in cui possono (sottinteso: devono) privatizzare. "Quando sussistono esigenze di promozione e ampliamento dei mercati e di ripianamento delle proprie posizioni debitorie". Una traduzione brutale e’ questa: cari Comuni, prima di venire a chiedere soldi per tappare i buchi nei vostri bilanci, vendete le vostre azioni, rinunciando ai dividendi e alle poltrone nei consigli di amministrazione che comportano. Una norma che, se applicata, risulterebbe molto piu’ efficace della lege Ronchi, quella che aumentava il ruolo dei privati nella gestione o nella proprieta’ dei gestori di servizi pubblici locali. Inclusa l`acqua, cosa che ha innescato il referendum di maggio sostenuto con una giravolta anche dal Pd, che prima aveva un`altra linea. Poi proprio i democratici hanno proposto di legare il ruolo dei privati all`equilibrio finanziario. E ora Bersani avra’ qualche problema a spiegarlo agli elettori. E qualcuno potrebbe malignare che uno dei Comuni piu’ indebitati d`Italia e’ Roma, e che Francesco Gaetano Calatagirone e’ pronto a comprare ogni fetta di Acea che il sindaco Gianni Alemanno mettera’ in vendita".