"Stupisce che intorno ad una decisione che non fa altro che confermare elementari statuizioni di minima civiltà giuridica, si possa scatenare un vergognoso battage mediatico che alimenta, con il solito effetto di corto circuito, le più bieche pulsioni giustizialiste". Così l’Unione camere penali italiane sulla sentenza della Cassazione che ha stabilito la possibilità, per il giudice, di applicare misure cautelari meno afflittive del carcere anche per chi è indagato del delitto di violenza sessuale di gruppo. Ma "ancor di più sorprende che la stessa Suprema Corte, attraverso un comunicato ufficiale – fa notare l’Ucpi – abbia sentito il bisogno di tranquillizzare l’opinione pubblica sul fatto che gli indagati coinvolti nella specifica vicenda processuale non lasceranno comunque il carcere sino alla celebrazione del giudizio di rinvio innanzi al Tribunale del Riesame". Per l’Ucpi "in ogni Stato di diritto l’indagato è da considerare innocente sino alla sentenza definitiva. Proprio per questo, la misura della custodia cautelare in carcere – si sottolinea – è un istituto che deve trovare la sua applicazioni in casi assolutamente eccezionali e l’indagato ha il sacrosanto diritto di attendere la definizione della vicenda processuale nella quale e’ coinvolto in stato di liberta’, qualunque sia il delitto che gli venga attribuito". In un momento in cui "si straparla di autonomia ed indipendenza della giurisdizione, a proposito della responsabilita’ civile dei magistrati – si conclude – questa espressa manifestazione di conformismo della Corte dimostra che, sul piano della liberta’ di autodeterminazione della magistratura, ben altri sono i percorsi da intraprendere".