"La soluzione per gli esodati potrebbe essere un tratto di penna sugli accordi. L’annullamento del patto che ha portato gli ex dipendenti fuori dall’azienda in cambio di uno scivolo, diventato troppo corto a causa della riforma delle pensioni. Proposta o ragionamento sul filo dei principi del diritto? Probabilmente una provocazione. Fatto sta – scrive IL GIORNALE – che ieri sera il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo ha portato scompiglio un po’ ovunque" nella puntata di "In Onda" su La7. "Polillo ha descritto due scenari. Uno realizzabile per legge. Il governo- ha spiegato ai conduttori Nicola Porro e Luca Telese – ‘non si opporrà all’abolizione della norma che obbliga gli esodati a non lavorare’. La rimozione di un vincolo di questo genere è effettivamente una delle carte che il governo, anche indirettamente tramite la maggioranza, potrebbe giocare per ammorbidire gli effetti della riforma per gli esodati. Anche perche’ e’ a costo zero. ‘Il ministro dell’Economia non si opporrà ad una norma di questo genere, in Parlamento ci sono orecchie sensibilissime su questo’, ha osservato. Ma e’ l’altro ragionamento del sottosegretario ad avere suscitato malumori nell’esecutivo. Gli esodati, ha spiegato, possono chiedere l’annullamento degli accordi presi con l’azienda.
Questo il ragionamento: ‘Hanno firmato un accordo con le aziende; se cambiano le condizioni che hanno legittimato quell’accordo, secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico, possono chiedere che quell’accordo sia nullo’".
L’uscita del sottosegretario non e’ stata gradita dalla Fornero, come scrive il CORRIERE DELLA SERA: "’Se il sottosegretario ha una ricetta se ne faccia carico personalmente’, commentano al ministero del lavoro. La linea Fornero e’ di circoscrivere il piu’ possibile la platea delle persone da assistere, tenendo conto che le norme gia’ prevedono una serie di deroghe e che il decreto milleproroghe contiene una clausola di salvaguardia finanziaria ben precisa: se le risorse stanziate non saranno sufficienti, scattera’ ‘un incremento delle aliquote contributive non pensionistiche a carico di tutti i datori di lavoro del settore privato’, a partire dai ‘contributi per disoccupazione’ e dall’aliquota dello 0,30 per cento per la formazione. Si tratta di un’ipotesi che per ora nessuno vuole prendere in considerazione, perche’ si tradurrebbe in un aumento del costo del lavoro. Va anche detto che, secondo le prime valutazioni del governo, il problema non si pone per quest’anno, ma se dal 2013 i 245 milioni stanziati non fossero sufficienti, c’e’ appunto il paracadute previsto dal milleproroghe. (à) Secondo i calcoli che furono fatti al momento della riforma, a dicembre, i lavoratori da salvaguardare sarebbero stati 65 mila. E su questa platea furono stanziate le risorse per coprire l’ erogazione delle pensioni secondo le vecchie regole. Ma e’ bastata qualche settimana per rendersi conto che in realta’ gli interessati sarebbero stati molti di piu’. (à) Sono quindi cominciate a circolare le stime piu’ diverse da 100 mila a piu’ di 350 mila’".
Scrive LA REPUBBLICA: Il testo della riforma approdera’ al Senato – dopo le ultime messe a punto informali – per iniziare l’iter parlamentare. Che potrebbe concludersi, stando alla previsione fatta ieri dal presidente Renato Schifani a Sky, entro 30-40 giorni. ‘Siamo pronti a lavorare giorno e notte – assicura – non sono i tempi ordinari del Parlamento a frenare la riforma, l’importante e’ che la maggioranza trovi una sintesi’. Della necessita’ di una ‘soluzione condivisa il prima possibile’ tra le parti coinvolte parla anche Pier Ferdinando Casini, perche’ sul lavoro si rischia di ‘insabbiare’ il governo. Gia’, ma una sintesi al momento appare ancora lontana. E la partita lavoro nel suo complesso e’ ancora aperta. Tant’e’ vero che a margine delle celebrazioni della Domenica delle Palme, anche il presidente della Cei Angelo Bagnasco ha espresso l’auspicio che sulla riforma e sulle norme sui licenziamenti ci sia ‘un ulteriore approfondimento per arrivare a soluzioni migliori e il piu’ possibile condivise’. L’ultima parola spettera’ com’e’ ovvio al presidente del Consiglio".