Cartellino rosso per Rosy Mauro e per Francesco Belsito, entrambi espulsi dalla Lega: si salva invece Renzo Bossi, nei cui confronti non si è voluto "infierire" vista la vicenda che ha colpito profondamente il "capo". Due ore di consiglio federale per ratificare decisioni annunciate (e per convocare il congresso a Milano il 30 giugno e il 1 luglio) ma il vertice non è scorso senza problemi. La pulizia richiesta – e ottenuta, almeno in parte – dalla base leghista dopo la manifestazione delle ‘scope verdi’ non è stata un’operazione facile, se è vero, come è trapelato, che per la cacciata della vicepresidente del Senato dal Carroccio, Roberto Maroni ha dovuto addirittura minacciare le sue, di dimissioni, e la votazione finale non ha visto la partecipazione nè di Bossi senior, nè di Marco Reguzzoni, uno degli esponenti di punta del ‘cerchio magico’. Alla votazione, secondo quanto riferito dalla stessa Rosy Mauro, non avrebbe partecipato neanche l’ex presidente del Consiglio federale Angelo Alessandri.
La stessa Mauro ha opposto una strenua resistenza e Bossi, i ‘triumviri’ e tutti i componenti del Consiglio federale le avrebbero chiesto più volte di dimettersi dall’incarico di vicepresidente del Senato – cosa quest’ultima peraltro smentita dalla stessa Mauro: "Bossi mi ha detto ‘valuta il momento e decidi tu’". Però i vertici del Carroccio hanno decretato "all’unanimità" la sua espulsione dal partito "ritenendo inaccettabile la sua scelta di non obbedire ad un preciso ordine impartito dal Presidente Federale e dal Consiglio Federale", come recita il comunicato finale del vertice di via Bellerio.
Lei da parte sua ha protestato: "Il rancore è prevalso sulla verità. La mia epurazione era già scritta. Se qualcuno è arrivato al punto di minacciare le dimissioni se non si fossero presi provvedimenti contro di me, vuol dire che la presunta unanimità è stata imposta con un ricatto politico". E poi: "Valuto tutto, ma un passo alla volta", riguardo al suo futuro a Palazzo Madama.
Resta infatti il ‘nodo’ della vicepresidenza del Senato, carica istituzionale ed elettiva che, come tale, non le puó essere revocata in alcun modo. Da regolamento parlamentare, infatti, non si possono presentare mozioni di sfiducia nei confronti dei vertici delle Camere e nemmeno il presidente del Senato, ammesso che volesse farlo, potrebbe revocare la carica del proprio vice.
Non solo: al tempo dell’elezione, Rosy Mauro fu, fra i quattro vicepresidenti del Senato, la piú votata, quindi è ‘vicepresidente vicario’, ovvero il numero due dell’Aula di palazzo Madama. Finora, la volontà di Mauro di restare al suo posto – nonostante le richieste dell’opposizione – ha imposto al presidente del Senato, Renato Schifani, una strategia di emergenza, per allentare la tensione: sostituirla in prima persona durante i turni di presidenza, scelta giudicata saggia da tutti i gruppi parlamentari ma che non puó essere reiterata all’infinito.
Tanto più che dopo l’espulsione dal partito, per Mauro potrebbe arrivare anche quella dal gruppo parlamentare della Lega. In questo caso verrebbe inserita in automatico nel gruppo Misto, dopodichè avrà 20 giorni di tempo per comunicare alla presidenza la sua adesione a un gruppo parlamentare diverso.
Infine, il ‘federale’ ha deliberato che la società di revisione contabile Price Water House, entro il 30 giugno, quindi prima del congresso, dovrà concludere "la verifica sulle poste patrimoniali presenti nella contabilità del movimento".