Niente emendamento al decreto sulla semplificazione fiscale, i nuovi controlli sui bilanci dei partiti pensati dalla ‘maggioranza strana’ prendono la forma di una proposta di legge e tutto lascia pensare che sarà difficile anche ottenere l’esame in sede legislativa richiesto da Pd, Pdl e Terzo polo. Il ddl seguirà probabilmente un iter normale e, in questo modo, salta anche la possibilità, evocata ieri da Pier Luigi Bersani, di far slittare a settembre la rata di finanziamenti prevista per giugno. Il no di Fini non è arrivato del tutto a sorpresa, da giorni si parlava della possibile inammissibilità dell’emendamento al dl fiscale per ‘estraneità alla materia’, ma "l’ammissibilità è sempre una materia delicata, che rientra nelle prerogative del presidente della Camera", come spiega il Pd Gianclaudio Bressa e per questo si è deciso di provare comunque questa strada "per fare il prima possibile". In realtà, qualche altro deputato democratico oggi nascondeva a stento una certa soddisfazione per la situazione che si era creata: "Dicono che bisognava fare in fretta. Se bisogna fare in fretta, questo è il modo…".
Insomma, il quadro che emerge è un po’ quello del gioco del cerino tra i vertici delle istituzioni, Giorgio Napolitano e Gianfranco Fini, e i partiti. Era stato il capo dello Stato a sollecitare un intervento urgente della politica sulla materia; aveva raccolto subito l’appello il presidente della Camera, addirittura ipotizzando un decreto del Governo. Quindi, i partiti hanno risposto, per niente contenti di ritrovarsi per l’ennesima volta nel ruolo di quelli che frenano: Pier Luigi Bersani ha scritto ad Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini, i tre segretari si sono telefonati, hanno deciso l’accelerazione. Anche se poi, come faceva oggi notare Arturo Parisi, questa ‘accelerazione’ ha lasciato più di un dubbio: "Il problema è la quantità delle risorse messe a nostra disposizione. E’ una fortuna che l’emendamento sia inammissibile, dopo tanto rumore sarebbe stato terribile se dalla montagna fosse uscito ancora una volta un topolino. Ci vuole un profondo ripensamento…".
Di fatto, però, il no all’emendamento proposto dai tre partiti ottiene un risultato, quello di allungare i tempi. E, come si capisce bene dalle parole dello stesso Bersani, permette ai partiti di dire ‘non è colpa nostra se non si agisce rapidamente: "Spero – ha detto il leader Pd prima della decisione di Fini – di mettere queste prime norme sui contributi ai partiti su cui abbiamo trovato l’accordo in un decreto se ce ne danno la possibilità i presidenti delle Camere".
Fini, dal canto suo, respinge la lettura che arriva dal Pd: è stato il relatore Conte a dire che l’emendamento era inammissibile, il presidente della Camera non poteva fare altrimenti.
Tesi, quest’ultima, condivisa anche dal capo dello Stato Giorgio Napolitano che, del resto, solo qualche settimana fa aveva inviato una lettera proprio a Fini e Schifani per biasimare la pratica degli emendamenti non attinenti alla materia dei decreti. Qualche fonte parlamentare, in realtà, spiega che il capo dello Stato non sarebbe nemmeno entusiasta delle norme messe a punto dai partiti, ritenendo anch’egli che servano misure più incisive. Voci che non trovano conferma al Quirinale, ma che si accompagnano a quelle, di fonte Terzo polo, che parlano di possibili correzioni alla proposta di legge, durante l’esame: in particolare, non si esclude l’inserimento di qualche taglio ai rimborsi già in questo provvedimento. Tesi sulla quale, in realtà, sembra scettico il tesoriere Pd Antonio Misiani: "Abbiamo scelto di muoverci in due tempi. A fine maggio partirà l’esame della legge per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, e in quella sede parleremo anche dei rimborsi. Intanto, riteniamo utile agire sulla trasparenza e sui controlli, adottando norme che ci pongono all’avanguardia in Europa". Si tratta di vedere se queste norme diventeranno mai legge.