Mai come in questo difficile 2012 ci sembra indispensabile restituire al Paese il senso di un 1 maggio distante dalle celebrazioni e dalla retorica e dedicato alla più severa riflessione. La crisi economica, negata per anni e sbeffeggiata come invenzione di poveri stolti pessimisti, si è manifestata con tutta la sua asprezza, oltre le bugie degli irresponsabili che ci hanno governato: due italiani su tre, ce lo dice l’Istat, si sentono più poveri e probabilmente lo sono.
Ad oggi tutta l’attenzione del Governo tecnico è stata data al risanamento finanziario perché era, ed è, il nodo dell’emergenza, ma l’economia ha nella finanza solo un aspetto, e senza rilancio di occupazione e produttività non vivremo nessuna ripresa economica e soprattutto nessuna ripresa sociale.
In questo Paese senza orizzonti, che vive il primato di assassini di persone transessuali, di discriminazioni ai danni dei più deboli, donne, gay, lesbiche, transessuali, anziani, giovani, migranti, il lavoro ha dunque smesso di essere quello strumento essenziale per il conseguimento di una vita libera e dignitosa che connota il diritto all’esistenza che la Costituzione riconosce ad ogni donna e ad ogni uomo.
La politica e i tecnici non possono continuare ad ignorarlo ancora, senza uscire definitivamente dai principi della nostra Carta fondamentale. Senza uno sforzo serissimo per il diritto al lavoro, questa è un’altra Italia, con un’altra Costituzione e con altri principi di convivenza civile.
Vogliamo davvero essere la patria dei giovani che non entreranno mai in un mercato del lavoro che richiede esperienze di lavoro che nessuno gli concede? Vogliamo davvero essere la patria degli anziani spremuti senza pietà che scelgono di uccidersi perché non ce la fanno a sopravvivere? Dobbiamo rassegnarci ad essere il Paese in cui nascere donne, transessuali, gay o lesbiche significa avere più difficoltà ad accedere al lavoro e molte più probabilità di perderlo o di non conseguire progressi di carriera? Chiediamo al Governo di porsi queste domande e di coinvolgere e ascoltare anche le associazioni di persone transessuali, lesbiche e gay per risolvere gli enormi spazi di iniquità che il diverso orientamento sessuale o di identità di genere deve affrontare nei luoghi di lavoro.
Arcigay dedica questo giorno con profondo dolore a chi la vita l’ha persa svolgendo il proprio lavoro, oppure perché ha deciso con un gesto terribile di uccidersi perché il lavoro non lo trovava o l’aveva perso o perché la pensione non bastava a pagare le tasse. L’articolo 36 della Costituzione, " Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa ", non può e non deve essere solo un pezzo di carta.
Paolo Patanè, Presidente nazionale di Arcigay