
L’Italia sembra non essere più un terreno fertile per gli imprenditori. La categoria in sette anni, dal 2004 al 2011, si è quasi dimezzata. Coloro che gestiscono la propria impresa, che sia piccola o grande, agricola, industriale o commerciale, in cui impiegano personale dipendente ma non sono direttamente coinvolti nel processo produttivo, sono passati da 402 mila unita’ a 232 mila. Un vero e proprio crollo, risultato di un calo continuo iniziato prima della crisi e continuato in seguito, senza interruzione, anno dopo anno. Quindi sulla caduta non ha solo pesato la recessione, ma anche un fenomeno di aggregazione aziendale. Si tratta comunque di una contrazione che indica un cambiamento profondo nel tessuto imprenditoriale italiano, un mutamento su cui si è abbattuta una crisi che continua a mordere e che scoraggia a cominciare da zero un’avventura aziendale. Basti pensare che la perdita di imprenditori accumulata dal 2008, da quando e’ iniziata la crisi, e’ del 18,6% e solo nell’ultimo anno il ribasso è stato del 9,7%. I dati Istat si riferiscono agli occupati, con piu’ di 15 anni, con profilo professionale di imprenditore, ovvero chi ha almeno un dipendente e il suo lavoro prevalente e’ quello di organizzazione e direzione dell’azienda. L’imprenditore e’ qui inteso distinto rispetto ad altri lavoratori indipendenti, che possono anche non avere personale alle proprie dipendenze. Infatti si differenzia dal lavoratore in proprio, che e’ coinvolto materialmente nel processo produttivo e meno nella gestione dell’attivita’ (artigiani, commercianti, titolari di piccole imprese, coltivatori diretti, chi lavora autonomamente presso il proprio domicilio). Il ruolo dell’imprenditore resta anche separato da quello del libero professionista, cioè chi, generalmente iscritto ad un albo (avvocati, notai, ingegneri, architetti, agronomi), esercita in modo indipendente una professione in cui domina il lavoro e lo sforzo intellettuale.
Inoltre la rilevazione mantiene diviso il profilo dell’imprenditore anche dal socio di cooperativa e da chi collabora abitualmente nella ditta di un familiare o di un parente senza avere un rapporto di lavoro regolato da un contratto. Individuato il campo si puo’ inoltre notare come il declino dell’esercito d’imprenditori in Italia non abbia risparmiato nessuno: sono diminuiti tanto gli uomini, passati in sette anni da 320 mila nel 2004 a 187 mila nel 2011 (-41,6%), quanto le donne, da 82 mila a 45 mila (-45,1%). Colpisce che e imprenditrici sono ancora cosi’ poche, tra gli appartenenti alla categoria e’ donna solo una cinque. Un divario ampio anche rispetto alla media delle occupate donne (40,7%). Sempre considerando l’arco di tempo 2004-2011, per cui sono disponibili i dati Istat, emerge come anche a livello territoriale la discesa si sia sentita ovunque: dal Nord (-45,5%), al Mezzogiorno (-33,6%), passando per il Centro (-46,1%). Anche se in termini assoluti e’ l’Italia settentrionale a pagare il prezzo piu’ alto, con una contrazione pari a 100 mila occupati classificati come imprenditori.