Correvano gli anni ’60 del secolo scorso quando si pensò di studiare il principio costituzionale di “capacità contributiva” e si convenne che esso si fonda su tre indici che sono il reddito, il patrimonio e il consumo. In quel periodo intervenne anche la Corte Costituzionale per stabilire che la capacità contributiva è un principio di garanzia nel senso che il giudice delle leggi deve avere la certezza che il prelievo fiscale sia giustificato da indici concretamente rivelatori di ricchezza, il che significa che il cittadino-contribuente deve poter sopportare il carico tributario.
“Nihil novi” verrebbe da dire, perché i Costituenti la ricetta l’avevano scritta già compiutamente, stabilendo che tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Così fissato, il dettato costituzionale obbedisce alla rigida regola della logica formale secondo cui il termine “tutti” sta a indicare che non un solo cittadino può sottrarsi all’imposizione tributaria, e però i costituenti hanno anche avvertito il legislatore che il prelievo fiscale non può avvenire in modo indiscriminato. Più vicino nel tempo (nel 2005) la Corte Costituzionale è ritornata sull’argomento rilevando che regna profonda incertezza, proprio sulla capacità contributiva, evidentemente perché la macchina fiscale non riesce a portare alla luce redditi e patrimoni occulti, non tanto per carenza di strumenti, quanto per assenza di volontà politica, colpevolmente mascherata da argomentazioni pretestuose quanto sterili e certamente non idonee a nascondere la salvaguardia del consenso. Tutti sanno che evasione fiscale e corruzione pesano sull’economia e frenano lo sviluppo e la crescita, tant’è che su questo versante e col fardello di un imponente debito pubblico il Paese è fermo da oltre tre lustri. Tutti sanno pure che l’evasione fiscale è ad ampio raggio, dal contribuente minimo alle grandi holding. Ed è qui che la politica tradisce la sua funzione primaria ed antepone il tornaconto elettorale agli interessi dello Stato. E’ accaduto con lo scudo fiscale offerto in cambio di un mortificante obolo richiesto a coloro che avevano illegalmente esportato ingenti capitali, concedendo loro anche il beneficio dell’anonimato. A fronte di tanta indecorosa bonomia eminenti cattedratici quali Boeri e Quadrio Curzio, ma anche autorevoli commendatori economici quali Giannino e Cisnetto ci dicono che la corruzione costa 60mld di euro all’anno, 120mld è l’ammontare dell’evasione fiscale, 500mld di euro sono nascosti nei cosiddetti paradisi fiscali ed un recente monitoraggio aereo ha rilevato che una massa consistente di entità immobiliari è sconosciuta al catasto e di conseguenza sfugge alla tassazione reddituale ed ai tributi territoriali. In aggiunta vi è l’ancora più grave fenomeno della elusione. Chi evade le tasse lo fa nell’ombra e per sua o per altrui mano altera le scritture contabili, omette la fatturazione in entrata ed in uscita o non rilascia gli scontrini fiscali. L’altro, quello che elude le tasse, ha a sua disposizione uno strumento di assoluta precisione e sono certe leggi che consentono di aggirare il fisco. L’uno (evasore) appare un dilettante, mentre l’altro (elusore) assurge a raffinato operatore grazie però al legislatore tributario quanto meno disattento a non accorgersi quando una norma va ad incidere negativamente su altre svuotandole del loro effetto cogente. C’è un solo modo per arginare il tristo fenomeno ed è una capillare revisione del corposo complesso delle leggi contenenti agevolazioni fiscali. Vale la pena ricordare per tutte la legge n. 408 del 1949, in materia di edilizia agevolata, prorogata fino al 1985, che produsse un vasto contenzioso per i tanti abusi che furono consumati. Ora l’Amministrazione Finanziaria dice che la ricreazione è finita, ma certi recenti controlli nel settore del commercio hanno già suscitato il disappunto del garante della privacy secondo cui interventi troppo stringenti violano la privatezza dei cittadini e costituiscono pertanto uno strappo allo Stato di diritto. Si fa fatica a capire perché mai meriti tanta tutela gente che contravviene al dovere di pagare le tasse.
Il Paese è indebitato fino al collo ed il default non è un lontano ricordo, ma un’attualità ancora minacciosa che però sembra non preoccupi più di tanto i “signori” del Palazzo, affaccendati a difendere la loro sopravvivenza nelle prossime tornate elettorali. Dall’altra parte c’è invece una schiera sempre più in aumento di cittadini non più in grado di sopportare una pressione fiscale divenuta iniqua e che almeno nell’immediato non potrà essere alleggerita, anzi incombe il timore di ulteriori inasprimenti. Siamo a crescita zero da almeno tre lustri, la disoccupazione è ad un livello record e la contrazione dei consumi è speculare all’impoverimento galoppante.
I più esposti sono i percettori di reddito fisso, facile obiettivo per prelievi immediati da parte del fisco, volutamente ignaro del crescente impoverimento di questo ceto che è già penalizzato da retribuzioni magre e deve poi fare i conti con la moneta europea e quindi con i prezzi al consumo praticati in piena libertà, cioè senza alcun controllo da parte dell’autorità costituita.
Il Governo in carica ha dovuto far presto per fermare la deriva verso il baratro e per far presto è intervenuto sulle pensioni e sul lavoro, sapendo che avrebbe suscitato reazioni da parte della maggioranza che lo sostiene se avesse aggredito le “ grandi cappelle”. Il sistema pensionistico ed il lavoro certamente abbisognano di riordino essendo sperequati rispetto agli altri paesi europei, ma servono anche urgenti interventi su tanti altri scottanti problemi. E’ perciò evidente che l’Esecutivo quasi è portato per mano, come è accaduto con la legge n. 44 del 26/04/2012 di conversione del DL 16/2012 (art. 8 comma 24) con cui di soppiatto è spuntato il via libera all’Agenzia delle Entrate di poter continuare a conferire nomine dirigenziali in dispregio della rigida normativa che tale materia regola, e nonostante che le declaratorie di illegittimità già pronunciate dal TAR Lazio ed attualmente pendenti dinanzi al Consiglio di Stato. La vicenda è di rilevante importanza tant’è che se ne occupa anche il giudice ordinario in veste di giudice del lavoro. Le forzature come spesso accade guastano e infatti il prof. Monti sembra avere esaurito la sua paziente disponibilità, tant’è che ha notificato un tagliente monito alle forze politiche che lo sostengono, avvertendo che se il Paese non è pronto per le riforme il Governo può anche decidere di passare la mano. Se il Paese non è pronto per le riforme è da vedere, che i partiti temano il giudizio degli elettori è una certezza e vi è anche il rischio che il voto a breve potrebbe comportare il malaugurato risultato della ingovernabilità. Allora conviene che il Governo si liberi da ogni veto incrociato e vada avanti nel segno di fare le cose che interessano la collettività. Il Governo Monti capì da subito che la tracciabilità dei pagamenti è uno strumento indispensabile sia quale deterrente che come leva per snidare gli evasori e vi provvide con il “decreto salva Italia” (n. 201 del 6/12/2011 subito convertito con la legge n. 214 del 22/12/2011) col quale è stato abbassato da 5.000 a 1.000 euro il limite entro il quale è consentito l’uso del denaro contante. E’ un buon passo avanti nella lotta all’evasione fiscale, ma la strada da percorrere è ancora lunga e difficoltosa. Ecco perché la lotta all’evasione fiscale deve essere serrata nel pieno rispetto del dettato costituzionale, che obbliga tutti i cittadini a concorrere alla spesa pubblica. Non è facile, ma se mai si comincia, mai potrà cambiare il vergognoso andazzo nel quale affoga il Paese. Un rimedio immediato ed incisivo, da più parti invocato, ma in uggia a una gran parte della classe politica, è di introdurre nel sistema fiscale la regola che consenta al consumatore finale dei beni e dei servizi di poter detrarre almeno in parte i costi sopportati. Accadrebbe cioè che il cittadino-consumatore avrebbe tutto l’interesse a richiedere il documento fiscale in contrasto con l’interesse opposto dell’operatore economico che è quello di evadere le tasse.
Su questo versante, al pari della lotta contro la corruzione, il Governo deve affrontare resistenze diffuse, malamente mascherate da argomentazioni speciose, ma al tempo stesso fragili, come il rischio di possibili abusi che non è detto non abbiano a verificarsi, per cui è evidente che andrebbe apprestato un rigoroso sistema sanzionatorio, anche di natura penale.
I provvedimenti fin qui varati dal Governo non hanno riguardato per esempio i super-burocrati, se non marginalmente; c’era stato il tentativo di azzerare le commissioni bancarie, ma la reazione dell’ABI è stata forte ed immediata e subitanea è stata la cancellazione della norma; sembra essere naufragato l’alleggerimento delle polizze RCA ed è rimasto quindi sul tappeto solo l’art.18 dello Statuto dei lavoratori e qui il Governo si è dimostrato forte. Giusta o sbagliata che sia tale intransigenza, non è però accettabile che il Governo arretri o addirittura eviti di affrontare tutte le altre problematiche che sono anch’esse prioritarie per il Paese. In altri termini Monti non può minacciare di lasciare se non passa la riforma del lavoro ed accettare poi compromessi al ribasso sul tema della corruzione e deve dettare egli personalmente, in quanto Ministro delle Finanze, l’agenda della lotta all’evasione fiscale, imponendola sia ai partiti politici, come alle strutture amministrative che pur dotate di autonomia funzionale sono pur sempre Organi subordinati al Ministro. Vuol dire che chi non ci sta deve uscire allo scoperto ed assumersene le responsabilità immediate e future. Il prof. Monti non deve andare a lezioni di economia per sapere che il Paese non cresce e che non può crescere soltanto con la riforma delle pensioni o con la cancellazione dell’art.18, e meno che mai si può uscire dalla recessione se non si adottano provvedimenti efficaci.
Ci si aspetta perciò che il Governo si predisponga per fare interamente la sua parte con l’autorità, il prestigio e la popolarità di cui gode, ma anche per non apparire in continuità con i suoi predecessori che non hanno toccato i “cattivi” per tenerseli buoni al momento del voto.
La politica ha clamorosamente fallito ed è stata costretta a cedere il passo ad un Governo tecnico che non ha vincoli politici, ma la responsabilità di dovere adempiere al mandato che liberamente ha accettato, e con altrettanta libertà deve operare nell’esclusivo interesse del Paese.
Pietro Paolo Boiano