Il presidente Giorgio Napolitano è tornato ieri a segnalare l’anomalia legislativa dei troppi voti di fiducia che vengono chiesti dal governo. ‘In quanto al frequente ricorso alla decretazione d’urgenza e alla posizione di questioni di fiducia, si tratta – come è noto – di una prassi di antica data, su cui il presidente Napolitano ha espresso le sue preoccupazioni, tendendo a porvi freno, fin dall’inizio e in tutto il corso del suo mandato’, si legge nel comunicato diffuso ieri dal Quirinale. Il capo dello Stato coglie l’occasione della fiducia numero 34 chiesta dal governo guidato da Mario Monti sul decreto legge sulla spending review per riproporre la questione.
‘Peraltro, è innegabile che nel corso dell’ultimo anno il governo precedente e quello attuale hanno dovuto affrontare emergenze e urgenze senza precedenti, insorte in sede europea. E’ altrettanto innegabile che la ripetuta sollecitazione del presidente ad approvare in Parlamento modifiche costituzionali e riforme regolamentari che garantissero un iter più certo e spedito dei disegni di legge ordinari, non ha trovato riscontri in conseguenti iniziative e deliberazioni nelle due Camere’, conclude la nota del Quirinale.
L’indice di Napolitano e’ puntato sul ruolo del Parlamento che rischia di essere ulteriormente marginalizzato nel suo ruolo legislativo e di controllo dell’esecutivo dall’uso eccessivo della decretazione d’ urgenza. Quest’ultima, come lui stesso ricorda, e’ una tendenza che in e’ in atto da tempo. Giustificata per assicurare una rapida governabilita’, la richiesta di voto di fiducia ha ormai le caratteristiche di un ruolo intrusivo del governo nell’agenda parlamentare.
Silvio Berlusconi, nel corso del suo quarto mandato come presidente del Consiglio, iniziato l’8 maggio 2008 e conclusosi nel novembre 2011, ha chiesto 53 voti di fiducia. In termini statistici, 1,26 voti di fiducia al mese. Se si va ancora indietro, il secondo governo guidato da Romano Prodi, rimasto in carica dal 17 maggio 2006 al 7 maggio 2008, ha chiesto 28 voti di fiducia superando addirittura la media del successivo governo Berlusconi.
‘A Monti ricordo che 34 fiducie in otto mesi pongono un problema che andra’ affrontato con i vertici del Parlamento’, ha segnalato Gianfranco Fini nell’intervista al Tg2 di martedi’ scorso in cui ha fatto il punto sulla situazione politica e su cio’ che potrebbe avvenire in autunno.
Nel caso del governo Monti, la media e’ di oltre 3 fiducie al mese. Stesso allarme e’ venuto nei giorni scorsi da Vannino Chiti (Pd), vicepresidente del Senato: ‘In Italia passa quasi sotto silenzio un susseguirsi pressoche’ continuo di decreti legge del governo, approvati con il voto di fiducia. Cosi’ non si puo’ continuare. Il ruolo del Parlamento diviene inesistente. E’ indispensabile un passo nei confronti del governo da parte dei presidenti di Camera e Senato. Spetta a noi, non ad altri, tutelare la funzione del Parlamento’.
Nel caso del secondo governo Prodi, l’uso della decretazione d’urgenza veniva giustificato politicamente dall’eterogeneita’ della maggioranza che lo sosteneva (l’Unione che teneva insieme un fronte che andava da Clemente Mastella a Rifondazione) e dalla sua esiguita’ (appena 25 mila voti, in percentuale lo 0,006). Alcuni episodi sono rimasti simbolici di quella precarieta’. Il 28 luglio 2008, ad esempio, il Senato approvava il decreto sulle missioni all’estero (Afghanistan in primis) con due voti di fiducia chiesti dal governo per ottenere il si’ dei dissidenti tra cui spiccava Franco Turigliatto, senatore eletto nelle liste di Rifondazione.
Nel corso di questa legislatura guidata fino allo scorso novembre da Berlusconi come premier e iniziata con una larga maggioranza a favore del governo formato da Pdl e Lega Nord, la decretazione d’urgenza non aveva – fino all’emergere del dissenso di Fini e alla formazione di Fli – il ruolo di ricompattare la maggioranza. Era diventata una prassi per accorciare i tempi di decisione parlamentare. Con il governo Monti, ritenuto ‘tecnico’ e formatosi per affrontare una crisi economica di eccezionale gravita’, il voto di fiducia è diventato lo strumento più efficace per fare presto e per eseguire le indicazioni venute dalla Banca centrale europea e dall’Unione europea in materia di riforme strutturali, da quella pensionistica a quella del lavoro. Il richiamo del presidente Napolitano suona percio’ ancora piu’ autorevole e significativo, se si ricorda come il capo dello Stato non abbia perso occasione per manifestare il suo apprezzamento verso l’operato del governo Monti.