Corte di giustizia UE: Aiuto a favore del settore della navigazione in Sardegna

La decisione 2008/92 della Commissione del 10 luglio 2007 dispone che l’aiuto di Stato (prestiti e locazioni finanziarie), concessi alle imprese di navigazione (legge n. 20/1951 della Regione Sardegna, legge n. 11/1988) è incompatibile con il mercato comune e deve essere recuperato, con gli interessi.

Il valore corrisponde alla differenza tra l’importo totale che i beneficiari avrebbero pagato per gli interessi e le spese accessorie alle normali condizioni di mercato praticate alla data in cui i prestiti sono stati contratti, ed il totale degli interessi e delle spese accessorie effettivamente pagate dai beneficiari stessi.

Dato che la Commissione non è stata in grado di quantificare direttamente l’ammontare totale dell’aiuto da recuperare nei confronti di ciascun beneficiario, spettava alle autorità italiane determinare tali elementi e comunicare alla Commissione le somme da recuperare presso ogni beneficiario.

Nel marzo 2010 la Commissione ha ricevuto un esposto da una società che gestiva vari collegamenti marittimi tra l’Italia continentale, la Sardegna e la Corsica, con cui le veniva chiesto di deferire l’Italia alla Corte per il mancato rispetto della decisione 2008/92.

Sollecitata dalla Commissione, l’Italia ha osservato che la Banca di Credito Sardo, nella sua qualità di soggetto gestore del fondo istituito dal regime di aiuti, aveva intimato, nel corso del luglio del 2009, la restituzione degli aiuti accordati alle sette imprese beneficiarie del regime (Ancora di Venere, Maris – Mari di Sardegna Srl; Navisarda, Romani Augusta; Sardegna Flotta Sarda di Navigazione Moby, Vincenzo Onorato).

Poiché nessuna di tali imprese aveva restituito le somme, come richiesto dalla Banca di Credito Sardo, le autorità italiane avrebbero avviato le procedure per la restituzione delle somme (ingiunzioni di pagamento). Tre ordini di recupero erano stati impugnati dinanzi al giudice nazionale dall’Ancora di Venere, dalla Navisarda nonché dalla Moby SpA ed erano stati sospesi in attesa del giudizio nel merito.

La Commissione addebita all’Italia di non aver adottato entro i termini, i provvedimenti necessari per sopprimere recuperare gli aiuti illegittimi.

Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda che – conformemente alla costante giurisprudenza – la soppressione, mediante recupero, di un aiuto illegittimo è la logica conseguenza dell’accertamento dell’illegittimità e lo Stato membro è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurare l’esecuzione delladecisione.

Il recupero deve effettuarsi senza indugio e secondo le procedure del diritto nazionale, a condizione che queste consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione (principio di effettività). Lo Stato membro deve giungere ad un effettivo recupero delle somme dovute. Un recupero tardivo, successivo ai termini stabiliti, non può soddisfare quanto prescritto dal Trattato.

Non è contestata la circostanza che, diversi anni dopo la notifica di detta decisione (’11 luglio 2007), nessuno degli aiuti illegittimamente versati era ancora stato recuperato. I primi atti concreti diretti al recupero sono stati adottati solo nel luglio del 2009 e le ingiunzioni di pagamento sono state emesse solo nel novembre 2010. Una tale situazione è manifestamente incompatibile con l’obbligo di detto Stato di pervenire ad un recupero effettivo delle somme illegittimamente percepite.

Nei suoi contatti con la Commissione, nonché nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, l’Italia non ha fatto valere alcuna impossibilità assoluta di esecuzione della decisione 2008/92.

Peraltro la situazione specifica di talune imprese beneficiarie deve essere verificata dallo Stato stesso.

Solo successivamente alla presentazione del ricorso della Commissione, l’Italia le ha comunicato le informazioni ritenute idonee a dimostrare il carattere non recuperabile degli aiuti concessi alla Navisarda e all’Ancora di Venere. Per quanto la Sardegna Flotta Sarda, in stato di cessazione dell’attività, la Corte ricorda che la circostanza che le imprese siano in difficoltà o fallite non incide sull’obbligo di recupero dell’aiuto, in quanto lo Stato membro è tenuto, eventualmente, a provocare la liquidazione della società.

Infine, l’Italia nel termine di due mesi, non aveva comunicato alcuna informazione alla Commissione quanto alle misure adottate per conformarsi a tale decisione.