Crisi sui marò, Terzi si dimette

Il caso marò spacca il governo: il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, in dissenso con la "decisione unanime" delle istituzioni di rimandare i due marò in India, si è dimesso, annunciando il passo indietro nell’atteso intervento davanti alla Camera. Il premier Mario Monti si è confessato sbigottito per un gesto che non gli era stato preannunciato. Domani andrà alla Camera e al Senato per fornire la sua versione dei fatti e soprattutto a chiarire la situazione politica e del governo alla luce delle dimissioni del titolare della Farnesina. Il Quirinale ha gia’ definito "irrituali" le dimissioni. Giorgio Napolitano ha firmato il decreto di accettazione delle dimissioni del ministro e ha ricevuto Monti, a cui viene affidato l’interim degli Esteri. E cosi’ il braccio di ferro politico-diplomatico sul caso dei due militari in attesa di giudizio nel Paese asiatico si e’ riverberato sul governo dimissionario.

Da parte sua Terzi ha voluto spiegare il suo comportamento. "La decisione di anticipare le mie dimissioni in occasione dell’audizione alla Camera dei deputati – ha spiegato l’ex ministro – si e’ consolidata proprio dopo la riunione con il presidente del Consiglio e il ministro della Difesa terminata a Palazzo Chigi alle ore 13.00 per la predisposizione del testo da presentare all’audizione parlamentare". Nell’aula, convocata per ascoltare la versione di Terzi e Di Paola sul dietrofront del governo e il ritorno in India dei due fucilieri del battaglione San Marco, il responsabile della Farnesina aveva sottolineato a piu’ riprese che la decisione di trattenere in Italia i due militari fu presa "in maniera pienamente collegiale" da tutte le istituzioni, in costante coordinamento tra i vari dicasteri e la Farnesina. Quando fu deciso, sull’onda della pressione del governo di New Delhi, di riconsegnarli all’India, Terzi ha spiegato di aver espresso, inascoltato, "serie riserve".

"Ho atteso di poter essere qui a in Parlamento a riferire e a parlare apertamente per esprimere in modo pubblico" il dissenso "e proprio per questa mia posizione non posso piu’ far parte di questo governo", ha detto, tra gli applausi". La spaccatura nel governo si e’ resa palese in aula anche con l’intervento del ministro Di Paola: "Oggi sarebbe facile per me rassegnare le dimissioni", ha preso la parola Di Paola, "potrei lasciare la poltrona che a breve lascero’ comunque ad un altro ministro, ma verrei meno al senso del dovere delle istituzioni che ho sempre servito e alle scelte del governo che ho condiviso: non abbandonero’ la nave con a bordo Massimiliano e Salvatore, sino all’ultimo giorno di governo. Le decisioni collegiali del governo si rispettano e si onorano". Intanto un assaggio di quello che si vedra’ domani in aula c’e’ gia’ stato nel dibattito seguito alle informative. Il Pdl ha chiesto la sospensione immediata: "Non era mai accaduto che un ministro si dimettesse in polemica con il presidente del Consiglio", ha tuonato il capogruppo a Montecitorio, Renato Brunetta. "E’ l’8 settembre del governo tecnico, chiudiamo questa pagina senza rimpianti", ha rincarato la dose Lapo Pistelli (Pd), mentre il deputato del Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista, ha chiesto che venga reso pubblico il documento sottoscritto dall’India, che ha aperto la strada al ritorno a New Delhi dei due militari, e che contiene la garanzia che non sara’ applicata la pena di morte nei confronti dei due militari, pubblicita’ che servira’ a "chiarire ogni dubbio sulla sua reale esistenza". Arturo Scotto (Sinistra Ecologia Liberta’) ha chiesto al governo perche’ mai non si sia tenuto conto della sentenza della Consulta "che ha imposto di non consegnare il reo a un Paese che consente la pena di morte". Per l’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa, "l’errore è stato quello di affrontare la questione come una vertenza tecnico-giuridica, piena di sofismi, da gestire in punta di diritto e non come una questione prioritaria di interesse e di dignita’ nazionale". Forse domani la situazione sarà più chiara, tranne che per i marò.