Improvvisa accelerazione sul tema della riforma della legge elettorale. Si teme che il pronunciamento della Cassazione sul processo Mediaset previsto per oggi, in caso di conferma della condanna di Silvio Berlusconi, possa avere effetti destabilizzanti sugli equilibri di governo. La Conferenza dei capigruppo della Camera ha infatti deciso all’unanimità – su proposta iniziale di Gennaro Migliore, capogruppo di Sel – la dichiarazione d’urgenza per quanto riguarda il confronto su nuove norme elettorali. L’impegno e’ mettere il tema all’ordine del giorno dei lavori di Montecitorio subito dopo la pausa estiva per arrivare a un voto definitivo entro i primi giorni di ottobre. Toccherà alla commissione Affari costituzionali proporre un primo testo base, tentando la mediazione tra le diverse proposte di riforma che giacciono in archivio. Con questa decisione riemerge l’idea della ”messa in sicurezza” di cui aveva parlato nei mesi scorsi il premier Enrico Letta che ieri ha commentato su twitter: ”Ottima procedura d’urgenza decisa alla Camera per la legge elettorale. Ora ognuno dovra’ assumersi le sue responsabilita’. Io sono No Porcellum”. Alla ”clausola di sicurezza” aveva fatto riferimento al momento del suo insediamento anche Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme costituzionali, pur privilegiando la possibilita’ che la nuova legge elettorale potesse scaturire in coerenza con la scelta della forma di governo. Pd e Sel hanno deciso di proporre la stessa procedura d’urgenza al Senato. Lo affermano in una dichiarazione comune i senatori piddini Isabella De Monte, Andrea Marcucci, Vannino Chiti, Stefano Esposito e i vendoliani Loredana De Petris, Alessia Petraglia, Massimo Cervellini e Peppe De Cristofaro: ”Depositeremo nelle prossime ore la richiesta al presidente Pietro Grasso per riunire tutti i disegni di legge presentati dall’inizio della legislatura e velocizzare i lavori della commissione Affari costituzionali e dell’Aula”. Particolarmente soddisfatto e’ Roberto Giachetti, Pd, vicepresidente della Camera, che qualche giorno fa con Migliore, Antonio Martino (Pdl), Arturo Parisi e Mario Segni aveva rilanciato l’idea della procedura d’urgenza sulla riforma elettorale: ”Con la deliberazione all’unanimita’ dalla Conferenza dei capigruppo la riforma elettorale come norma di salvaguardia sara’ al primo punto dell’agenda politica e parlamentare da settembre. E’ un primo importantissimo risultato che fino a ieri sembrava impossibile”. Il Pdl non e’ persuaso che quella della Camera sia la scelta giusta. Dichiara Fabrizio Cicchitto: ”Il fatto che il Pd chieda la procedura d’urgenza per l’approvazione di una nuova legge elettorale vuol dire che ha una gran fretta a fronte dell’ipotesi fin ora affermata che il governo Letta duri i famosi 18 mesi. Poi la scelta del giorno per avanzare questa richiesta apre ulteriori interrogativi”. L’ex capogruppo del Pdl a Montecitorio fa riferimento alle dichiarazioni del premier nel suo discorso programmatico alle Camere e all’attesa per il verdetto della Cassazione sul processo Mediaset. Perplesso e’ pure Francesco Paolo Sisto, Pdl, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, che dichiara a La7: ”Se si avvia un percorso rapido verso una nuova legge elettorale, vuol dire che c’e’ mancanza di fiducia nell’investimento sulle riforme”. Poi aggiunge: ”Con il Porcellum non si puo’ tornare al voto e quindi e’ necessario modificare la legge elettorale che va tarata su un nuovo modello. Ma se noi anticipiamo e’ come se andassimo a dare un vestito a un soggetto che ancora non abbiamo plasmato e scelto”. Le soluzioni piu’ rapide per la riforma elettorale sono due. O inserire nuove norme nel cosiddetto Porcellum in vigore (per esempio, stabilire una quota percentuale da raggiungere alla Camera per ottenere il premio di maggioranza che attualmente scatta se il primo partito ha un solo voto in piu’ del secondo) o tornare al Mattarellum che era in vigore fino al 2005. Secondo il Mattarellum, la ripartizione del 75% dei seggi parlamentari avveniva con collegi uninominali – l’elettore era in grado di scegliere il proprio rappresentante con un voto che era di fatto di preferenza – e il restante 25% con l’adozione della proporzionale con una soglia di sbarramento del 4% (ma con sistemi di valutazione diversi tra Camera e Senato). Il territorio nazionale era diviso in 475 collegi per la Camera e in 232 per il Senato dove i restanti seggi erano ripartiti con un complicato sistema regionale.